Roma, 1 nov – “Aumentano i posti di lavoro: più 82mila sul mese scorso, più 150mila da aprile. Solo con il lavoro #italiariparte”. Così commentava con toni trionfalistici, ieri su twitter, il premier Matteo Renzi a proposito dei dati Istat che vedono sì un aumento dell’occupazione ma, allo stesso tempo, la crescita anche del numero dei senza lavoro. Una contraddizione teorica, che alla fine dei conti si risolve in “favore” del solo aumento dei disoccupati.
Certo, il segnale è positivo. Il quadro, tuttavia, non permette facili entusiasmi. Partiamo dalle ultime rilevazioni di Banca d’Italia. Secondo le ultime rilevazioni dell’istituto di via Nazionale, la dinamica del credito è in continuo peggioramento. Vale per le famiglie e vale per le imprese. «La crescita dei prestiti è rimasta contenuta nell’area euro, lievemente negativa in Italia» per le prime, mentre la contrazione per le secone «è proseguita, pur attenuandosi», ha spiegato il governatore Ignazio Visco in occasione della Giornata del Risparmio.
In mancanza di una sponda da parte del sistema bancario, laddove non hanno funzionato gli 80 euro è altrettanto difficile che possa agire l’ipotesi di destinare una parte del tfr direttamente in busta paga. Stando ad un sondaggio Swg, meno di 2 lavoratori su 10 opteranno per la scelta offerta dal governo. Fra questi solo uno scarso 10% (sul 20% iniziale) pensa poi di impiegare il “di più” in acquisti, mentre il restante 90% lo utilizzerebbe per saldare debiti pregressi o investirlo in forme di previdenza complementare. In estrema sintesi gli effetti saranno ancora più ridotti, se non addirittura impalpabili, rispetto a quelli del bonus Irpef. L’andamento dell’inflazione, d’altronde, segnala che poco o nulla si sta muovendo nell’ambito del commercio: l’Istat prevede che, alla fine dell’anno, il segno sarà positivo ma limitato ad un misero +0.1%.
Ad offrire poche occasioni di strappare un sorriso sono anche i dati sulla cassa integrazione, sempre più utilizzata dalle imprese. Settembre è stato (dati Cgil) il secondo mese sugli ultimi 12 con il maggior numero di ore richieste ed autorizzate. Elemento preoccupante, stante che l’inizio dell’autunno dovrebbe coincidere con la ripresa dell’attività produttiva. «Si arresta così la lieve tendenza alla riduzione registrata nelle passate rilevazioni mensili e si conferma la media sopra gli 80 milioni di ore al mese che ha caratterizzato gli ultimi quattro anni. Un quadro che conferma i segnali negativi sulla situazione economica e produttiva del Paese: troppo timida l’inversione di tendenza rispetto alla persistenza della crisi e del processo di deindustrializzazione in atto», commentano dal sindacato.
Ad essere ottimisti e non voler scadere nell’ambito dei gufi tanto cari al premier, si può dire che forse gli anni più duri della recessione sono alle battute finali. Da qui a parlare di paese che riparte, però, ancora ne passa. Al più, l’Italia è ferma ai blocchi di partenza. Con uguali possibilità di andare in avanti o fare il passo del gambero.
Filippo Burla