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La ricchezza in Italia? Dati alla mano, è un affare per pochissimi

by Fabio Pasini
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Milano, 14 lug – Lo 0,01% della popolazione italiana è considerato molto ricco, in virtù di introiti annui superiori ai 533mila euro, mentre lo 0,1 se la passa molto bene, con guadagni che superano i 217mila euro. Bene, il 54% dei super-ricchi vive a Milano, come il 42% della seconda agiatissima fascia. Lo certifica l’Inps nel suo Rapporto annuale, il quale rivela che la seconda classificata è Roma, “con percentuali che però non raggiungono un terzo di quelle milanesi”. “L’aumento della concentrazione dei ‘top earners’ nella provincia di Milano man mano che si sale nella distribuzione del reddito è un fenomeno significativo – spiega l’istituto – e offre spunti di analisi sulla concentrazione geografica del reddito e le sue implicazioni sull’agglomerazione di competenze qualificate e imprese produttive in pochi centri distribuiti in maniera fortemente disomogenea sul territorio nazionale“.

Un affare per pochissimi

L’analisi dei dati rivela tendenze e aspetti interessanti quanto preoccupanti. Uno di questi è l’aumento rilevante nel tempo della soglia necessaria per entrare nel top 0,1% e soprattutto nel top 0,01% della popolazione dei lavoratori: per questo ultimo la soglia aumenta da 220mila euro nel 1978 a 533mila euro nel 2017 (+242%). Per il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, “ciò suggerisce come negli ultimi decenni la concentrazione degli alti redditi abbia caratterizzato in modo rilevante anche il nostro Paese”. La ricchezza in Italia, dunque, è affare per pochi, pochissimi, sempre meno, come avviene nelle aree in cui il libero mercato, lungi dal generare sviluppo ed equità sociale, sbilancia la scala del benessere accentuando le diseguaglianze. Un fattore che la globalizzazione finanziaria ha reso patologico.

La Milano che fu

Tornando a Milano e ai dati Istat, la questione è molto significativa. Che la concentrazione della produttività, degli affari e delle attività professionali, grazie a una proverbiale cultura del lavoro, siano da sempre tratti distintivi della metropoli lombarda è una conclamata verità moderna. Tuttavia, questo si accompagnava a un’altra peculiarità del rito civile ambrosiano, cioè la condivisione e la distribuzione omogenea del meritato benessere, grazie a opportunità che erano alla portata di molti. Questo anche per via dell’assenza di quel classismo tipico invece di altre realtà italiane; esemplari sono le testimonianze storiche di quartieri socialmente “misti”, della convivenza ambientale tra i sciuri e i popolani, tra i più recenti cumenda, il ceto impiegatizio e quello operaio. Poca attenzione a ridicole quanto provinciali apparenze, ma, piuttosto, sostanza e maniche rimboccate, ché da fare ce n’era per tutti e, di conseguenza, anche da raccogliere.

La Milano odierna

Quel mondo lì non c’è più. Anche “Milano vicina all’Europa” sembra più prossima al Brasile. E non è un caso che nella geografia politica, la città del (ricco) sindaco Sala si sia consolidata come feudo e modello della sinistra dei presunti buoni sentimenti, con la sua retorica elitaria dei “diritti”. Siamo di fronte a una sorta di teocrazia globalista, retta da un clero fanatico e aggressivo che domina su un popolo in affanno economico, scavalcato per legge divina da masse sradicate e importate con uno scopo preciso che rimanda ai dati e alle analisi di cui sopra. Impoverimento, concorrenza al ribasso, sostituzione. Se servisse uno schema.

Fabio Pasini

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2 comments

Giorgio 14 Luglio 2019 - 7:12

Articolo purtroppo impeccabile.

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frank 18 Luglio 2019 - 11:57

Solo loo 0,1% è ricco? Quì dove abito io (una media città) sono tutti SUV! I dati INPS non sono veritieri… forse perchè la maggior parte evade… oppure tiene i soldi da un’altra parte… oppure non è sincero.

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