Gallipoli, 1 gen – “Italy is the gate of Europe”, lo ripetono spesso e accompagnano le parole con un sorriso che vorrebbe sottolineare l’accezione positiva, almeno per loro, del concetto. Sono alcuni dei profughi sbarcati a Gallipoli con il mercantile Blue Sky M, l’imbarcazione soccorsa dalla Marina italiana e dalla Capitaneria di porto mentre si dirigeva verso le coste salentine, con il timone manomesso e il motore bloccato alla velocità di sei nodi.
Ahmer è siriano, viene da Homs ed è qui insieme al fratello maggiore, ferito dalle schegge di un mortaio durante i combattimenti tra l’esercito regolare del Presidente Assad e le milizie del Califfato Islamico. Tutti i passeggeri del mercantile, al loro arrivo, hanno dichiarato di essere siriani e richiesto lo status di rifugiati. In realtà provengono da vari paesi arabi: Ahmal, ad esempio, é palestinese con passaporto libanese e vorrebbe raggiungere alcuni familiari in Svezia. Mi spiega che nessuno sul Blue Sky M aveva il minimo dubbio riguardo alla destinazione finale del viaggio, mai sentito parlare della Croazia e mai avuto paura a bordo, neanche quando gli scafisti hanno abbandonato la nave al largo di Corfù, perché sanno bene che la Marina Italiana soccorre le imbarcazioni alla deriva anche al di fuori delle proprie acque territoriali.
Anche lui ripete “Italy, the gate of Europe” come se fosse un tormentone pubblicitario e, in effetti, scopriamo che il denominatore comune fra tutti i naufraghi é proprio una sorta di tour operator al quale si sono rivolti per raggiungere l’Italia. Ognuno di loro ha contattato l’organizzazione tramite il Facebook arabo o Skype; una volta prenotato il viaggio si procede al pagamento, tramite PayPal o versando direttamente il denaro presso le apposite “agenzie”. Le tariffe sono fisse: 6mila euro per ogni adulto, la metà per i bambini, e le garanzie sulla riuscita del viaggio valgono dal punto di raccolta in avanti. Non esistono distinzioni di ceto, religione o etnia; all’interno dell’istituto però le differenze appaiono subito evidenti: nell’atrio centrale ci si prepara ad abbandonare la scuola, il pullman é già fuori ad attenderli per accompagnarli a un centro di accoglienza di Torino, come disposto dalla Prefettura. In un angolo ci sono delle famiglie con pochi vestiti raccolti in sacchi dell’immondizia, donne spaesate con lo sguardo perso nel vuoto e bambini con i capelli arruffati e la stanchezza del viaggio dipinta sul viso. Nel lato opposto, invece, alcune ragazze attendono di poter salire sul pullman; chador intonato al colore del cappotto, jeans stretti negli stivali, una mano poggiata sul manico del trolley e l’altra intenta a scorrere lo schermo dell’I Phone. Potresti incontrarle in qualsiasi aeroporto internazionale ed è davvero difficile definirle “profughe”.
Che l’immigrazione di massa fosse un business non era certo un mistero ma la naturalezza e l’organizzazione meticolosa di queste traversate, la tracciabilità delle prenotazioni e dei pagamenti, la sicurezza con la quale si affronta il viaggio sapendo che basta lanciare un Sos per essere soccorsi dalla Marina italiana e, ancora, la certezza di potersi dichiarare rifugiati politici, di poter mentire sulla propria provenienza, di non essere mai espulsi o rimpatriati una volta raggiunta la “Porta dell’Europa”, lasciano un senso di profondo sconcerto e rafforzano la voglia di risposte a domande inevitabili: a chi giova tutto ciò? Perché nessuno debella questa tratta ignobile, pur avendo ogni tipo di informazione per risalire ai vertici dell’organizzazione?
Le risposte reali, come scritto più volte da Il Primato Nazionale, sono nei conti correnti delle cooperative e delle onlus, nelle carte dell’inchiesta su Mafia Capitale, nelle carriere di politici e funzionari, nella manodopera a basso costo sfruttata dai grandi marchi. Quella che latita realmente é la risposta delle istituzioni, italiane ed europee, capaci solo di avvolgere il problema con una cortina di fumosa retorica.
Francesco Pezzuto