Roma, 22 dic – Avevano donato alla città delle targhe per rivendicare la propria solidarietà alla Palestina e si sono ritrovati invece con la propria sede perquisita dalla polizia. Questo è quanto successo ai militanti di CasaPound Italia della città di Padova.
Perquisita sede di CasaPound per una targa pro Palestina
Nella mattinata di oggi i poliziotti della Digos si sono recati presso la sede padovana di CasaPound Italia “Il Bivacco” per dare esecuzione al decreto di perquisizione emesso dalla Procura della Repubblica. Il motivo dell’indagine? Una pietra d’inciampo, con incisa la scritta “Per la Palestina e i suoi figli”, che i militanti avevano collocato nei giorni scorsi davanti a Palazzo Bo come segno di vicinanza ai civili palestinesi martoriati dalla guerra. Iniziativa che, come si legge in una nota diffusa dalla polizia, “ha fatto ritenere la sussistenza di indizi relativi ai reati di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa”. Come un messaggio tutto sommato umanitario possa venire scambiato per un reato d’odio è un mistero. In ogni caso, le operazioni di perquisizione, come anche riportato nel verbale della questura, “davano esito negativo in quanto all’interno dei locali non veniva rinvenuto materiale ritenuto utile al fine delle indagini”. Per arrivare allo stesso risultato probabilmente sarebbe bastato leggere il comunicato con cui i militanti del movimento avevano rivendicato l’azione o ancora più semplicemente quanto scritto sulla stessa targa.
L’Anpi comanda, la Digos esegue?
Il tentativo da parte della Procura di inquadrare come odio razziale l’iniziativa di CasaPound appare come una pericolosa criminalizzazione dell’opinione e del dissenso. A gettare ancor di più una luce sinistra su quanto accaduto è anche il fatto che segua alle polemiche che avevano riguardato nei giorni scorsi la pietra d’inciampo, con quest’ultima che era finita nel mirino di Anpi e comunità ebraica con l’accusa di alimentare l’odio e l’antisemitismo. Un’accusa paradossale non solo perché stravolge il significato dell’azione, ma anche perché, almeno nel caso dell’Anpi, contesta non il contenuto quanto gli autori del gesto.
Michele Iozzino