Roma, 6 mar – La professoressa di filosofia della Sapienza Donatella Di Cesare torna sul “luogo del delitto”, cercando di spegnere l’incendio causato dal suo post in cui elogiava la brigatista Barbara Balzerani da poco scomparsa.
La difesa della Di Cesare
La Di Cesare tenta di difendersi in un intervista rilasciata per La Stampa, minimizzando il contenuto politico del post e riducendolo alla volontà di “affermare compassione umana per una persona che scompare”. Anzi, prova a farsi passare per vittima, definendo “interpretazioni pretestuose” le critiche ricevute, e passando al contrattacco: “Sono stupita e sconcertata da ministri di questo governo che mi stigmatizzano con parole che rasentano l’insulto”. Qui il riferimento è a Matteo Salvini che aveva parlato delle dichiarazioni della docente in questi termini: “Vergogna. La prof Donatella Di Cesare celebra la brigatista morta”. Mentre sulla presa di distanza da parte del rettore della Sapienza Antonella Polimeni sorvola: “Non mi è stato notificato alcun provvedimento”. Non solo, cerca di rigirarla a suo favore, leggendo nelle sue parole “la giusta preoccupazione per la democrazia, che è una preoccupazione anche mia, e a me nulla sta più a cuore della democrazia”. Una tolleranza che però non esibiva quando squalificava come non filosofi i pensatori che non le andavano a genio.
Il solito esempio di arroganza e doppiopesismo
La Di Cesare passa poi a una condanna della violenza politica: “Ho sempre condannato ogni forma di lotta politica violenta”. Motivo per cui si sente salvata dall’equivoco interpretativo che l’ha proiettata al centro delle polemiche. Nonostante il senso di appartenenza esplicitato nel post (“la tua rivoluzione è anche la mia”), con la Balzerani ci sarebbe stata “solo una vicinanza generazionale”. E così descrive quegli anni: “La mia generazione guardava al futuro e pensava al cambiamento, a un mondo senza discriminazioni, senza guerre, senza ingiustizie sociali, e mi chiedo cosa sarebbe l’Italia di oggi senza le lotte di quegli anni. Io scelsi il femminismo, quegli anni non possono essere ridotti al terrorismo”. La Di Cesare rivendica anche i passi in avanti compiuti dalla sinistra: «In Italia c’è stato uno scontro ai limiti della guerra civile. Per quanto mi riguarda ritengo che da sinistra ci sia stata una rivoluzione politica, etica e culturale e che va riconosciuta, per quanto riguarda la destra, conosciamo qual è la storia”. Facendo quindi sottintendere che la sinistra avrebbe fatto i conti con il proprio passato e la destra no. Alla fine della fiera sembra di assistere alla solita retorica dei “compagni che sbagliano”, una edulcorazione della lotta armata e delle violenze rosse in “aspirazione a cambiare il mondo”. Ma la Di Cesare è la stessa che per Acca Larenzia parlava di “deriva del governo postfascista” da “vedere con inquietudine” e riteneva non potesse nemmeno essere considerata una commemorazione. Un’arroganza e un doppiopesimo che non possono lasciare indifferenti.
Michele Iozzino