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Telecom, il declassamento e quel golden power di dubbia utilità

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Roma, 9 ott – Nel maggio 2012, sulla spinta della procedura d’infrazione aperta dall’Unione Europea, il governo Monti provvide alla riformulazione della legge sulla cosiddetta “golden share”. La versione che ne è uscita vede lo strumento di controllo sulle società strategiche, scampato alla stagione delle privatizzazioni, ridimensionato di misura e soggetto a vincoli più stringenti all’utilizzo, tra i quali la possibilità di usare il veto ad acquisti da parte di soggetti stranieri solo se extra-UE.

Sulla scia del colpo di mano degli spagnoli di Telefonica su Telco – la scatola che detiene la maggioranza relativa del gruppo Telecom, nonché delle informative del Copasir sui rischi della cessione, il governo Letta si è premurato di firmare il decreto attuativo al fine di far rientrare la rete dell’ex monopolista tra le infrastrutture strategiche. Sembra quindi avviata la strada che porterà alla separazione della rete (sulla quale, a onor del vero, si andava discutendo ormai da tempo) come avvenuto nell’ambito del dispacciamento di energia elettrica con la costituzione autonoma di Terna e in quello dei gasdotti con la separazione proprietaria di Snam da Eni.

La rete sembra quindi, a questo punto, esclusa per legge dalle mire degli spagnoli. Ma l’azienda? E’ notizia recente che l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha messo il titolo sotto osservazione, con il rischio nei prossimi mesi di downgrade a livello junk, ai più noto come “spazzatura”. Il motivo di questa pressione al ribasso è dovuto essenzialmente all’eccessivo leverage, dovuto al fatto che il rapporto tra debito netto e margine operativo lordo, cioé il reddito prodotto dalla gestione caratteristica, senza considerare quindi le scelte di ammortamento, oneri finanziari, operazioni straordinarie, difficilmente scenderà sotto quella soglia di 3.5 giudicata come livello sostenibile. La problematica è tutta nel numeratore, il cui peso è eredità di una privatizzazione nata male e proseguita ancora peggio.

Filippo Burla

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