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Tim, tutte le difficoltà per una nazionalizzazione che pare un miraggio

by Alberto Celletti
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nazionalizzazione Tim

Roma, 19 apr – L’eventuale nazionalizzazione di Tim è un tema che tiene banco da prima delle elezioni che hanno portato a Palazzo Chigi l’attuale governo guidato da Giorgia Meloni. Un orizzonte che veniva dichiarato dal centrodestra ancora non “votato” dagli italiani e che è stato ribadito poco dopo la formazione dell’esecutivo. Successivamente, però, sono iniziati gli stenti. Le azioni per acquistare l’azienda da Vivendi si sono fatte via via più incerte, e nel contempo il fondo americano Kkr ha avanzato interesse concreto per il marchio.

Tim, nazionalizzazione possibile o sforzo inutile?

Certo è che, dopo i proclami iniziali, il governo di centrodestra abbia fatto una fatica enorme a produrre un’offerta concreta. Non solo: Cassa depositi e prestiti, ovvero una delle ultime branche di potere economico rimaste allo Stato, controllato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, da sola ha dimostrato di avere le proverbiali gambe corte, visto che, ad oggi, su Tim agisce in consorzio con Macquarie, ovvero un gruppo di investimenti australiano. Il “duo” ha presentato una nuova offerta per l’azienda telefonica, portandola a 19,3 miliardi di euro, una cifra che ridurrebbe il debito di Tim di quasi 17 miliardi. Il problema è che la forza economica di Kkr, al momento, pare superiore, visto che l’offerta degli americani raggiunge i 21 miliardi di euro. Ma non è la sola questione a tenere banco. La stessa Tim, comunque, rende ufficiale in una note la “contesa” tra i due interessati: “Sono pervenute due nuove offerte non vincolanti presentate, rispettivamente, dal consorzio formato da Cdp Equity e Macquarie Infrastructure and Real Assets (Europe) Limited, che agisce per conto di un gruppo di fondi di investimenti gestiti o assistiti dal gruppo Macquarie, e da Kohlberg Kravis Roberts & Co. L.P. (Kkr)”.

Valori ancora bassi, ma utili per una trattativa

Le offerte presentate non soddisfano i francesi di Vivendi, ovvero il socio con maggiore potere all’interno di Tim, che vorrebbero, grosso modo, almeno 31 miliardi di euro. Da parte sua, il governo sceglie di rimanere silente, come afferma il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso: “È proprio il momento in cui il governo deve stare silente perché ora tocca all’azienda. Quando tocca all’azienda un governo saggio ovviamente non parla”. Ma, in ogni caso, chiede una risposta entro il 31 maggio. Il 20 aprile si terrà l’assemblea ordinaria per l’approvazione del bilancio e si potrebbe discutere delle due offerte su cui la stessa Vivendi avrebbe potere di veto. L’azienda francese, in pratica, ha preannunciato la sua ostilità. Servono offerte più consistenti e, al contempo, una forza economica di cui lo Stato pare deficitario: da questo punto di vista una nazionalizzazione di Tim sarebbe, senza mezzi termini, un piccolo miracolo nel contesto difficile in cui ci troviamo oggi.

Alberto Celletti

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