Roma, 31 gen – Si è sospettato sin da subito che ci fosse il governo di Pechino dietro al blocco dei grandi siti di VPN, ma la conferma ufficiale è arrivata solo pochi giorni fa: Wen Ku, direttore dello sviluppo delle telecomunicazioni del ministero della Tecnologia informatica (MIIT), ha dichiarato in una conferenza stampa a Pechino “Il rapido sviluppo di internet sta spingendo il Ministero dell’industria e della tecnologia informatica a utilizzare nuovi mezzi per mantenere la sicurezza e il corretto funzionamento del cyberspazio […] il Paese ha bisogno di nuovi metodi per contrastare problemi nuovi […] lo sviluppo di internet deve avvenire in linea con le leggi cinesi e filtrare ‘le informazioni inopportune’”.
Pochi giorni prima diversi fornitori di servizi VPN (Astrill, Strong VPN e Golden Frog) avevano denunciato di essere vittime di un “attacco” proveniente dalla rete cinese; un tentativo (efficace) di bloccare l’utilizzo di proxy da parte dei netizen locali, per accedere alla Internet mondiale che esiste oltre la Grande Muraglia digitale (ovvero il sistema di Firewall e Proxy impiegato in Cina per inibire siti vietati, denominato Great Firewall o Golden Shield Project).
Secondo il professor Xiao Qiang della Facoltà di Berkeley citato da BBC News, il provvedimento del Governo cinese, mira a reprimere la corruzione di alti funzionari: il giro di vite è stato “un fatto chiaramente correlato con la quantità di rumors ed informazioni riservate, relative all’alta politica della Cina, riportate su siti esteri”.
Una Virtual Private Network (VPN) funziona creando un collegamento criptato dedicato, tra il computer di una persona e il sito web o servizio che si desidera utilizzare. In questo modo la VPN rende estremamente complicato intercettare i dati che fluiscono attraverso la connessione. In effetti il Governo cinese aveva fino a oggi chiuso un occhio, sui collegamenti in VPN, che erano diventati strumento privilegiato degli utenti, per poter raggiungere Facebook, Twitter e tutti i siti bannati dagli esperti governativi.
Il blocco delle connessioni VPN è solo l’ultimo dei provvedimenti messi in atto dal Governo cinese che da tempo applica una politica fortemente restrittiva sui siti esteri. Già a Dicembre il “transparency report di Google” riportava un’improvvisa e repentina caduta nel traffico del servizio di posta elettronica di Gmail all’interno dei confini cinesi. E sei mesi prima, in occasione della ricorrenza delle proteste di Piazza Tienanmen, il governo aveva oscurato i siti di informazione, in mandarino o in inglese, che veicolassero notizie “sensibili”.
La Cina, inoltre, è dotata di social media alternativi a quelli messi in campo dai grandi colossi americani (Ren Ren, una sorta di Facebook cinese, WeChat e Sina Weibo, l’equivalente di Twitter in Cina ed il social media ivi più “frequentato”) e le restrizioni ai siti e servizi esteri, rappresentano per il governo cinese, solo il compendio alle strategie nel campo informatico, che la potenza asiatica da tempo applica. E’ infatti abbastanza noto lo stato di guerra permanente, a colpi di attacchi hacker, tra Cina e Stati Uniti nel cyber-spazio, di cui si può avere una seppur minima idea, accedendo al seguente link che mostra, in tempo quasi reale, gli attacchi informatici in corso e la loro provenienza e destinazione (http://map.ipviking.com/).
Il campo di battaglia è quindi ormai chiaro, e la lotta viene condotta sia per le vie “ufficiali” che sottobanco, ricorrendo ai metodi poco ortodossi del cybercrime; la nuova frontiera della sovranità nazionale si declina anche nello spazio virtuale. L’unica grande assente in questa nuova sfida, come troppo spesso accade negli ultimi anni, è l’Europa, che evita accuratamente di essere coinvolta direttamente e che cerca di dare un colpo al cerchio (gli Usa) ed uno alla botte (la Cina), per assicurarsi il proprio misero interesse commerciale di bottega.
Domenico Trovato