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La Cina economia di mercato? L’Ue vuole suicidare l’industria europea

by Filippo Burla
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cina industriaRoma, 28 nov – Quando, nel 2001, la Cina fu ammessa nei ranghi dell’Organizzazione mondiale del commercio, l’Unione Europea fissò un periodo transitorio di quindici anni al termine dei quali valutare se concedere al gigante asiatico lo status di economia di mercato. Questo periodo viene a concludersi tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo, quando la Commissione dovrà decidere se e come muoversi.

Cina economia di mercato?

Se da Bruxelles nicchiano – la proposta necessita peraltro dell’approvazione a maggioranza qualificata da parte dei paesi memebri – a lanciare l’allarme sull’eventualità di accogliere Pechino a braccia aperte sono le organizzazioni industriali del vecchio continente.

“Un’iniziativa suicida”: non usa mezzi termini Confindustria, che parla di una misura che “avrebbe un impatto devastante sul made in Italy”. Con questa concessione, “la concorrenza cinese, per molti aspetti già sleale, sarebbe ancora più favorita, con enormi vantaggi su costi dell’energia, lavoro e rispetto delle norme ambientali”, spiega l’associazione imprenditoriale, che condivide le preoccupazioni insieme al suo omologo continentale, Business Europe.

Cina: la posta in gioco

Qualora alla Cina dovesse essere riconosciuto lo status di economia di mercato, le previsione apocalittiche degli industriali non sarebbero peregrine. Nell’evenienza, infatti, l’Ue rinuncerebbe in maniera quasi automatica alla possibilità di attuare una seria politica commerciale antidumping, fatta di barriere tariffarie (dazi doganali) e non, inondando il mercato europeo di merci a bassissimo costo di fronte alle quali non vi è soluzione che tenga: le produzioni italiane verrebbero spazzate via nel giro di pochi anni, sostituite dai beni più economici e di infima qualità, realizzati in barba a qualsivoglia diritto sindacale, con salari da fame e spesso in condizioni vicine allo schiavismo.

Senza considerare, inoltre, le precise scelte politiche attuate dalla dirigenza del Partito Comunista. Scelte che hanno portato negli anni – anche tutt’ora – a sussidiare aziende in perdita con il solo scopo di produrre sottocosto e spiazzare la concorrenza straniera.

In Italia 400mila posti di lavoro a rischio

L’Italia sarebbe il paese più colpito dall’allentamento dei vincoli attualmente imposti a Pechino. Su oltre 50 prodotti tutelati dalle misure antidumping, 30 sono fabbricati in larga parte da aziende italiane, che rappresentano il 40% sul totale fra quelle protette dai dazi. Valga per tutti l’esempio delle piastrelle, in parte salvato dalla concorrenza sleale della Cina solo grazie all’imposizione di tariffe sull’import dal paese asiatico.

In gioco, secondo uno studio, ci sarebbero dai 200 ad oltre 400mila posti di lavoro, principalmente fra tessile, elettronica, arredo e siderurgia.

Filippo Burla

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