Ma certo, in fin dei conti perché sostenere la demografia autoctona aiutando le famiglie che oggi vedono un nuovo figlio come un costo insostenibile? Perché creare le condizioni affinché i giovani non abbandonino le proprie terre andando a cercare fortuna altrove? Perché ricostruire un tessuto sociale, culturale, una narrazione comune, un senso dello stare insieme, un destino collettivo? È molto più facile importare i “pezzi mancanti” da un altro continente. L’ambasciatore ha anche un esempio concreto in testa: il paesino siciliano di Sutera, di cui ci siamo già occupati tempo fa, e che secondo Phillips sarebbe “rinato grazie al fatto che il Comune ha messo gratuitamente a disposizione un alloggio per ogni nucleo familiare”. Magari rinasceva anche se l’alloggio gratuito lo mettevano a disposizione degli italiani, ma tant’è.
E alla fine, incredibilmente, l’ambasciatore se ne esce con l’esortazione a non far partire i giovani: “Incontro spesso i ragazzi italiani e mi colpisce la diffusa volontà di andarsene dall’Italia, una volta finiti gli studi. C’è un grande scoraggiamento, frustrazione per la mancanza di opportunità, ma l’obiettivo dev’essere di tenere i talenti in Italia, cercando di ricostruire un ‘sense of place’, un senso di appartenenza”. Già, si costruisce proprio un bel “sense of place” quando il tuo “place” è occupato da altri venuti a sostituirti.
Giorgio Nigra
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Loro hanno un muro alla frontiera col Messico e vengono a pontificare su come dovremmo operare???
L asino dice orecchione al bue…
guarda la soluzione ve la do’ io datemi spazio e una parte la occupo volentieri io il problema e che per la gente comune queste possibilita’ non ci sono io sono anni che cerco una cosa simile e non ne trovo altro che immigrati
Come si permette questa persona ,perché non aiutare i giovani italiani dare possibilita di formare delle famiglia , portare persone che sanno solo violentare e aggredire e rubare porta beneficio,si insulta il buon italiano
Non riesco a capire bene se, da parte del sedicente ambasciatore, si tratti di supponente stupidità o di complicità in quel preciso calcolo che sappiamo, ipocritamente mascherato come al solito da “buoni sentimenti” politicamente corretti.