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Gasdotto Tap: corridoi geopolitici e corsie di partito

by Francesco Pezzuto
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TapRoma, 16 dic – Trans Adriatic Pipeline, ovvero Tap, il progetto per la costruzione di un gasdotto che dovrebbe portare in Italia il gas proveniente dal Mar Caspio, attraverso un percorso che collegherebbe Grecia e Albania per poi approdare sulle coste della penisola salentina. Nelle intenzioni dei progettisti Tap dovrebbe trasportare gas naturale dal colosso del settore Shah Deniz II, in Azerbaigian, ai Paesi europei, garantendo un’ulteriore fonte di approvvigionamento e un abbattimento delle tariffe relative all’uso del gas, un obiettivo strategico fortemente sostenuto dall’Ue. Secondo i calcoli forniti dagli ingegneri il nuovo gasdotto potrebbe espandere la portata delle forniture da 10 a 20 miliardi di metri cubi all’anno, assicurando, inoltre, la fornitura anche in casi di emergenza, grazie agli impianti di stoccaggio che dovrebbero sorgere in Albania. Un progetto indubbiamente interessante, per almeno due motivi: il primo è che aumentando il numero di nazioni fornitrici si riduce il rischio di essere vittime di ricatti politici o economici, il secondo è relativo alla consistenza dei giacimenti azeri, che potrebbero soddisfare le esigenze degli stati europei per diversi decenni.

 

Chiaramente un progetto di tale portata offre il piatto a una serie di polemiche, siano esse legate a logiche ambientaliste o alla legittima richiesta di capire chi c’è dietro la Tap e a chi finiranno le centinaia di milioni di euro di investimenti per realizzare l’opera. Il primo quesito riguarda in modo particolare la localizzazione del punto esatto di approdo del gasdotto. Il progetto iniziale prevedeva la trivellazione della costa adriatica del Salento in località San Foca, marina del comune di Melendugno (Le), rinomata località turistica e bandiera blu da diversi anni. Se si parte dal presupposto che l’opera è strategicamente conveniente e quindi andrebbe realizzata, si potrebbe obiettare sull’opportunità della scelta dell’approdo. Al posto di una zona costiera poco contaminata e dedita al turismo e all’agricoltura, sarebbe preferibile sceglierne un’altra già attrezzata e predisposta ad accogliere una struttura invasiva di tali dimensioni. In questa logica la scelta ricadrebbe sulla costa brindisina, dotata di un polo industriale che si affaccia già sul mare, di un porto commerciale, di un aeroporto e di una superstrada, infrastrutture importanti per l’appoggio logistico necessario alla realizzazione prima, e al funzionamento poi, dell’eventuale gasdotto.

 

Riguardo al secondo quesito, ovvero chi gioverà a breve termine della costruzione del Tap, non è un mistero che ad accelerare la chiusura degli accordi abbia spinto l’attuale primo partito in Italia, il Pd. Uno dei primi viaggi istituzionali dell’attuale premier Letta è stato proprio a Baku, la capitale azera, per festeggiare la chiusura degli accordi internazionali fra gli stati interessati. Altro elemento di conferma la partecipazione attiva, nel corso delle trattative, di due sottosegretari di area dalemiana, Claudio De Vincenti all’energia e Marta Dassù agli esteri, entrambi membri della fondazione “Italiani europei”, motore elettorale della corrente di D’Alema. Del resto lo stesso leader maximo, nel corso della sua ultima visita a Lecce per la campagna elettorale delle primarie, ha rilasciato pareri favorevoli nei confronti della realizzazione del gasdotto, dichiarando di non giustificare l’allarmismo ambientalista sollevato da parte della sua stessa area politica. L’approvazione di D’Alema non pare legata esclusivamente a interessi nazionali, ma ha motivazioni molto più prosaiche, e riguardano il suo braccio destro economico, Roberto De Santis, ai tempi della stesura degli accordi consigliere di amministrazione della Avelar, una società russa spalla della svizzera Egl, tra le principali finanziatrici del progetto Tap.

Francesco Pezzuto

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