“Alcuni sindaci – spiega in un’intervista al Corriere della Sera – hanno già attivato progetti di volontariato che vedono i migranti protagonisti. È ora di fare un passo in avanti”. Come? Coinvolgendo “nel lavoro i migranti che sono legittimamente sul nostro suolo: i rifugiati o chi ha già presentato la richiesta d’asilo”. Con un meccanismo premiale: “Chi mostra buona volontà e capacità di inserirsi nel nostro contesto sociale – continua Morcone – potrebbe ottenere un’attenzione diversa nell’accoglienza”, ad esempio ricorrendo al permesso umanitario come corsia preferenziale: “Attualmente viene dato per motivi di vulnerabilità ai bambini e ai malati. Potremmo usarlo in questo senso. Dopo un anno la verifica servirebbe da incentivo a comportamenti virtuosi”. Oltre ai profughi, anche chi non avrebbe diritto all’accoglienza, come ad esempio i richiedenti asilo le cui domande sono spesso e volentieri rigettate, potrebbe dunque inserirsi all’interno del gioco a premi istituito dal Viminale. Ed ottenere così, dopo qualche mese di lavoro, accoglienza in Italia. A che condizioni, però? E qui, se non si fosse già capito, si scoprono gli altarini: “Non penso a una paga con tariffe nazionali. Ma a una retribuzione che potrebbe essere ridotta: la decurtazione servirebbe per recuperare i costi dell’accoglienza”, afferma Morcone. In altre parole: i profughi o sedicenti tali come manodopera a basso costo per lavori pubblici, tra sfalci di giardini e altre attività sulle quali spesso si bloccano i bilanci di comuni sempre più in crisi a causa dei tagli lineari dei trasferimenti dal governo. Con i sindaci che sono quotidianamente subissati da richieste di aiuto da parte dei loro concittadini. Un problema che non riguarda il prefetto: “Io mi occupo di immigrati. Dei cittadini italiani se ne dovrebbero occupare altri ministeri“. Proprio senza vergogna.
Nicola Mattei