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A chi fa comodo l’invasione? Non agli italiani

by Redazione
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immigrazione invasioneRoma, 27 mag – Eventi istituzionali, sportivi, internazionali. Ormai qualsiasi momento è diventato occasione e pretesto per parlare di accoglienza e immigrazione, anche senza la minima pertinenza. Mattarella, Bergoglio, la presunta sinistra italiana, l’onda d’urto dei mass media e dei social: tutti uniti nello sforzo teso a distruggere confini e identità in nome delle porte aperte e del senso di colpa che inevitabilmente ognuno di noi dovrebbe provare nei confronti dell’Africa e dei paesi in guerra (ma non solo), secondo il pensiero dominante. Pensiero da cui è ormai scomparsa qualsiasi traccia di orgoglio e amor di patria, concetti che al contrario rischiano di essere trattati alla stregua del termine “razzismo”, così da estromettere dal dibattito qualsiasi opinione diversa da quella imperante.

Il grande cavallo di battaglia degli “immigrazionisti” è la ripetizione martellante del fatto che gli stranieri sono necessari al paese dal punto di vista lavorativo e demografico. Tutto giusto, a patto di sposare gli interessi degli industriali che vogliono abbassare drasticamente diritti sociali e salari, delle associazioni religiose e delle Cooperative innaffiate di soldi pubblici, delle lobby transanazionali e di personaggi come Soros che hanno l’obiettivo di distruggere il tessuto sociale dell’Europa col pretesto dei “diritti umani”. E non è finita qui. L’indubbio contributo economico dei lavoratori stranieri, ripetuto come un mantra dal pensiero unico, andrebbe perlomeno contestualizzato. Difatti, come ha scritto Stefano Vernole, «dal 2010 in poi, ogni 10 nuovi disoccupati 3 sono immigrati, per cui non si intravede la necessità di dover importare ulteriore manodopera straniera, se non per necessità di alcune imprese che sfruttano i migranti con retribuzioni che sono in media del 20% in meno rispetto a quelle che dovrebbero versare ai lavoratori italiani». In più: «Sistema pensionistico: se è vero che i contributi degli immigrati hanno aiutato l’INPS a rimettere un po’ a posto i suoi disastrati conti, è altrettanto vero che tra circa 20 anni, quando molti di questi stranieri inizieranno a percepire pensioni di vecchiaia o anzianità, il problema previdenziale si riproporrà uguale a oggi». A tutto ciò bisogna aggiungere altre voci di spesa: sanità, accoglienza, assistenza a clandestini e rifugiati, tribunali, folli programmi casa (vedi alla voce Rom), rimesse all’estero.

Dulcis in fundo, malavita e traffici criminali gestiti da immigrati pesano come macigni, visto che il nostro paese è sempre più percepito come un colabrodo. A questi proposito c’è da segnalare che proprio grazie agli immigrati l’Italia riesca a piazzarsi per una volta ben al di sopra della media europea: la percentuale di detenuti stranieri è infatti superiore ad essa di ben 11 punti, con un impressionante 32%. Nessuna ostilità preconcetta, nessuna negazione dei molti drammi nascosti dietro le ondate migratorie, ma semplicemente una riflessione matura e “identitaria” su un tema che rischia sempre più di diventare un nuovo tabù su cui solo le banalità politicamente corrette saranno ammesse. La difesa dell’identità (è ovvio che il problema non è solo economico) andrebbe accompagnata ad azioni nette: mentre tutti alzano muri, l’Italia dovrebbe quindi mettere in discussione il buonismo suicida dell’Unione Europea per attuare una politica estera su vasta scala come nella sua migliore tradizione. Accordi politici per fermare l’esodo e promuovere lo sviluppo nei paesi d’origine andrebbero accompagnati a serie politiche industriale e demografiche al proprio interno, a meno che non ci si arrenda all’inevitabile scomparsa del popolo italiano nel giro di qualche decennio, come confermano le più funeree statistiche. Il tutto benedetto dai sorrisetti compiaciuti della Boldrini e della nostra inadeguata classe dirigente.

Agostino Nasti

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1 commento

Martino 28 Maggio 2016 - 5:22

Nulla è irrimediabile. Quando il vento sarà girato e avremo governi espressi dai popoli, rispediremo ’sta gente nei paesi d’origine, con le buone o le cattive.

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