Roma, 4 ago — Che fine ha fatto la terapia al plasma iperimmune? Messa a punto nell’aprile 2020 dal dottor Giuseppe De Donno (l’ex primario di Pneumologia all’ospedale Carlo Poma di Mantova morto suicida nei giorni scorsi) aveva salvato la vita a una sessantina di pazienti affetti da Covid, curati con trasfusioni di plasma prelevato ai malati guariti dall’infezione. Una trattamento così promettente da convincere anche l’Ospedale di Padova e il San Matteo di Pavia ad adottare la cura. Da lì era partita l’attivazione di una rete di banche del plasma iperimmune per rifornire gli ospedali del resto dello Stivale. Ebbene, la raccolta delle sacche è ferma da mesi. Il progetto è attualmente sospeso. 

Il plasma snobbato 

«Ormai i clinici non chiedono più questo trattamento». Lo spiega al Corriere la dottoressa Giustina De Silvestro, direttore del Centro immunotrasfusionale in Azienda ospedaliera a Padova. «Nell’ultimo periodo l’hanno ricevuto solo un paio di pazienti. La letteratura scientifica non l’ha molto sostenuto, preferendo gli anticorpi monoclonali per i soggetti non ospedalizzati e gli antivirali insieme ad altri farmaci per i degenti».

Lo studio

Eppure c’è uno studio, in fase di chiusura, che confermerebbe l’efficacia del trattamento al plasma. La terapia è «nata come sperimentale in un momento in cui ci siamo tutti trovati a dover combattere una malattia sconosciuta a mani nude. Non è una cura miracolosa, ma ha dato buoni risultati. Lo testimoniano per esperienza diretta gli stessi pazienti, molti dei quali medici guariti con il plasma iperimmune, che sostengono questo metodo, risultato salva-vita soprattutto per le persone fragili e anziane». Due sono i limiti della terapia al plasma: «Non è facile capire a priori quali siano i soggetti ideali ai quali somministrarlo e non porta guadagno, ma solo tanto lavoro. La spesa non è confrontabile a quella dei farmaci».

Costa poco e non fa guadagnare le case farmaceutiche

Le case farmaceutiche, in sunto, non ci guadagnano nulla. Il plasma viene raccolto dai Centri trasfusionali degli ospedali e poi conservato a 30 gradi sottozero fino alla somministrazione. Il costo di ogni dose è ridicolo: 200 euro al Sistema sanitario, un ciclo completo 600-650 euro. Meno di un giorno di ricovero, meno di una dosa di anticorpi monoclonali (2mila euro). «Abbiamo visto che, trasfuso precocemente, anche al primo giorno di ricovero, il plasma iperimmune funziona». Nonostante la raccolta sia stata sospesa «ne custodiamo una buona scorta. Solo a Padova basterebbe per un’ottantina di pazienti e gli altri hub dispongono di diverse unità. Tutte ad alto titolo anticorpale. Insomma, in caso di bisogno siamo pronti».

Cristina Gauri

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Classe 1977, nata nella città dei Mille e cresciuta ai piedi della Val Brembana, dell’identità orobica ha preso il meglio e il peggio. Ex musicista elettronica, ha passato metà della sua vita a fare cazzate negli ambienti malsani delle sottoculture, vera scuola di vita da cui è uscita con la consapevolezza che guarire dall’egemonia culturale della sinistra, soprattutto in ambito giovanile, è un dovere morale, e non cessa mai di ricordarlo quando scrive. Ha fatto uscire due dischi cacofonici e prima di diventare giornalista pubblicista è stata social media manager in tempi assai «pionieri» per un noto quotidiano sabaudo. Scrive di tutto quello che la fa arrabbiare, compresi i tic e le idiozie della sua stessa area politica.

4 Commenti

  1. Ormai la speranza di essere curati a casa è pressoché sparita, qli interessi stanno superando ogni buon senso, forse era questo il vero scopo, l’unica soluzione sarebbe annientare questa classe politica, ma visto come vanno le cose , penso che nessuno li toglierà di li.

  2. Ovvio. Così è anche per l’ ozono-terapia in autoemotrasfusione. Per un ciclo completo, circa lo stesso costo.

  3. Per capire qualcosa in più, si può leggere o ascoltare quello che dice il dottor Fausto Milani no vax.

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