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Banche in crisi: e se la nazionalizzazione fosse l’argine alla speculazione?

by Salvatore Recupero
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1449567760183.jpg--il_pasticcio_di_renzi_e_l_allarme_dei_consumatori[1]Roma, 9 lug – Si è svolta ieri a Roma l’assemblea annuale dell’Abi (Associazione Bancaria Italiana). Da registrare la grande armonia tra il presidente dell’Abi Antonio Patuelli, il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco e il ministro delle Finanze Pier Carlo Padoan. Vediamo meglio a cosa è dovuta tale sinergia. Cominciamo dal padrone di casa. Patuelli esordisce con la solita frase di circostanza: “L’Europa deve crescere con un disegno strategico comune che punti alla crescita di tutti. Un’Europa meno burocratica e più democratica”. Quindi, il presidente dell’Abi auspica che: “L’Unione Bancaria Europea abbia regole identiche per far funzionare correttamente il mercato unico integrato delle banche e della finanza, per garantire, senza eccezioni, l’uguaglianza delle condizioni di partenza della concorrenza”. Fin qui i soliti discorsi sentiti mille volte. Poi Patuelli sottolinea che: “All’Italia non è stato permesso dalle autorità europee di adottare strumenti di smaltimento dei crediti deteriorati prima introdotti in altre parti d’Europa”. Fuori dal gergo diplomatico dei banchieri, il presidente dell’Abi lancia un messaggio a Bruxelles che potrebbe suonare così: vogliamo salvare le nostre banche con gli aiuti di stato come hanno fatto tutti gli altri paesi europei prima che entrasse in vigore il Bail-in. Giusto! Peccato che negli ultimi anni si è deciso di nascondere la polvere sotto il tappeto dicendo che il nostro sistema creditizio era in piena salute. Questo episodio, come altri, è la conferma di una mancanza di strategia di lungo respiro della nostra classe dirigente. Ammesso che ce ne fosse bisogno.

La vera novità è che tutti hanno riscoperto l’importanza dell’intervento pubblico per regolare l’economia di mercato. Infatti anche Ignazio Visco sostiene che: “A fronte del rischio che, in un contesto di elevata incertezza, problemi circoscritti intacchino la fiducia nei confronti del sistema bancario, un intervento pubblico non può essere escluso”. Più cauto Pier  Carlo Padoan, ex membro del Fondo monetario internazionale e attuale ministro delle Finanze: “L’intervento pubblico – spiega – è una misura che non può essere esclusa e anzi da esplorare con una natura precauzionale e nel rispetto delle regole Ue”. In parole povere Padoan aspetta il nulla osta da parte della Bce. E mentre l’esecutivo attende il placet di Mister Draghi, la speculazione ha avuto tutto il tempo di abbuffarsi.  Con il meccanismo dello short selling (vendita allo scoperto) gli speculatori hanno banchettato sulle rovine del Monte dei paschi di Siena. L’argomento è stato già affrontato su questo sito da Luigi Di Stefano: “La Consob ha vietato per tre mesi le vendite allo scoperto sul titolo MPS e immediatamente, dopo una serie di sedute negative che avevano portato i titoli quasi a zero (0,16€ per una azione che al massimo era stata a circa 19€) è “rimbalzato” del + 6% (dopo aver toccato punte del +13% nella giornata borsistica). Insomma avevamo ragione, le banche e l’economia italiana si difendono con atti di “Sovranità” e non promettendo quaranta miliardi agli speculatori, somma che è stata subito portata a un tetto di 150 miliardi dall’Ue a cui evidentemente i profitti degli speculatori stanno ben a cuore”. C’è bisogno, dunque, di un intervento pubblico deciso e libero dai diktat della finanza. Le colpe del nostro sistema bancario non possono essere espiate dagli italiani, contribuenti o risparmiatori che siano. Nel caso in cui il mercato fallisce, il governo ha il diritto-dovere di intervenire. Ma, l’intervento non può essere né di tipo assistenziale, né di tipo giustizialista. Insomma, per far sentire la presenza dello Stato non basta mettere le mani nelle tasche degli italiani  e arrestare qualche pescecane che si arricchito con i soldi degli altri. Ora tutti chiedono l’aiuto dello stato perché temono di finire schiacciati dal crollo dei nostri istituti di credito. Il vero cambiamento dovrebbe essere spinto da ben altre motivazioni. È necessario, invertire la rotta con interventi sistematici e duraturi.

La storia in questo ci aiuta. Come non ricordare, infatti, il caso dell’Imi (Istituto Mobiliare Italiano) del 1931. L’attività dell’Imi doveva essere invece specializzata nel credito su lungo e medio periodo.  Questo ente di diritto pubblico non solo salvò l’Italia dagli effetti catastrofici della crisi del 1929, ma fu anche il volano, insieme all’Iri per il settore industriale, della ripresa nella ricostruzione post-bellica. Qualcuno può pensare che si tratti di strumenti ormai fuori dal tempo.  Siamo proprio sicuri? A chi sono riconducibili questi 196 miliardi di euro di sofferenze lorde che hanno messo in serie difficoltà le banche italiane e in generale tutta la nostra economia? Secondo Paolo Zabeo presidente del Centro Studi della Cgia di Mestre i principali responsabili dei crediti deteriorati sono i grandi gruppi finanziari. Sì, proprio così. Zabeo afferma che: “Il nostro sistema creditizio è molto polarizzato. La migliore clientela, pari al 10% del totale, riceve ben l’80% di tutti gli impieghi erogati dalle banche. Mentre al restante 90% viene erogato solo il 20% del totale dei prestiti. Ma, a differenza di quanto ci si dovrebbe attendere, le sofferenze si annidano in grandissima parte tra la migliore clientela. Al primo 10%, infatti, è riconducibile l’81% del totale delle sofferenze”. Il tema dell’intreccio perverso tra grande finanza e gruppi industriali è più che mai attuale.

Non si tratta di nostalgia per i bei tempi andati. Anche tra i progressisti qualcuno comincia a pensare che la politica economica del Ventennio andava nella giusta direzione. Ad esempio citiamo il comunicato stampa del tre maggio scorso di Elio Lanutti presidente dell’Adusbef (Associazione difesa consumatori ed utenti bancari, finanziari ed assicurativi). Secondo Lannutti, ex senatore dell’Italia dei Valori: “Per superare la crisi, occorrono riforme urgenti, con la Banca d’Italia che deve tornare ad essere pubblica, come in tutti i paesi del mondo, con una responsabilità oggettiva delle autorità di vigilanza, che qualora sbagliano devono pagare in solido anche con la galera; abrogare il ridicolo ostacolo alla vigilanza; ri-pubblicizzare le banche, anche con l’istituzione delle vecchie Bin, banche di interesse nazionale”. Forse è giunto il tempo che gli economisti abbandonino i master della Bocconi per tornare a fare un bel ripasso di storia.

Recupero Salvatore

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Cesare 10 Luglio 2016 - 1:12

Non c’è altra via che rotiornare alla sovranità monetaria, cioè a soldi prodotti a costo zero dallo stato anziche’ da privati, come avviene ora con la BCE che è privata.E soldi prodotti dallo stato non andrebbero ripagati, interessi compresi, a nessun usuraio straniero. La BCE, cosi’ come la FED che ha ridotto alla miseria gli americani , è in mano a pochissimi banksters oligarchi favorevoli al cancellare per sempre gli stati nazionali per stabilire un governo mondiale governato da loro pupazzi e con noi tutti schiavizzati.
Rinazionalizziamo banca d’italia(minuscolo perchè per ora è privata) e le banche e aziende pubbliche svendute a due lire dai traditori nostrani.E pensare che per l’alto tradimento, effettuato da molti politici nel passato che hanno svenduto le aziende e banche pubbliche(e banca d’italia nel 1992 che era ed è al 60% di proprietà di Banca Intesa e Credito Italiano privatizzate) del nostro paese, il codice penale prevede pene dai 5 anni all’ ergastolo ma questi si vogliono far chiamare onorevoli!!!

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