Roma, 16 ott – Il taglio dei prezzi imposto da Iran ed Arabia Saudita, unito alla mancanza cronica di fiducia nella crescita dell’economia mondiale, sta portando la quotazione del BRENT (riferimento petrolifero europeo) e del WTI (riferimento petrolifero nord americano) ai livelli più bassi dal 2010.
Il ribasso dei prezzi oltre a colpire direttamente i petrolieri rischia di fare delle vittime eccellenti anche nel mondo della finanza e del trading. Società come Bnp Paribas, JP Morgan, Goldman Sachs, Mercuria, Vitol e Glencore sono infatti esposte per miliardi di euro in contratti derivati. Gli industriali petroliferi compiono normalmente delle operazioni dette di “hedging”, ossia vendono a società finanziarie lotti di petrolio che estrarranno in futuro stabilendo un prezzo bloccato. Questo assieme ad altri strumenti, come il controllo della produzione, concorre nel tutelarli da eventuali crolli dei prezzi.
La strategia d’uscita in mano alle società finanziarie consiste nel vendere petrolio; poco importa se esso esista fisicamente in barili oppure sia solo sulla carta. Un effetto collaterale che si ottiene da questa vendita forzata è una ulteriore diminuzione del prezzo del greggio: aumentando l’offerta a parità di domanda il prezzo scende, una delle regole base dell’economia. Questa frenesia ha contribuito a dare il colpo di grazia alla quotazione che nella giornata di martedì 14.10.2014 ha subito una perdita di oltre il 4,3%, la più grande diminuzione giornaliera da due anni a questa parte.