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A2A e quelle aziende pubbliche usate come bancomat

by Filippo Burla
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a2a sedeMilano, 11 apr – A2A, l’ex municipalizzata controllata dai comuni di Milano e Brescia, chiude il 2014 con risultati inferiori rispetto alle attese. A pesare, nel contro economico, sono l’inverno meno rigido del solito -con conseguenti minori incassi dalla distribuzione del gas- e la contrazione delle vendite  di energia elettrica. I ricavi si riducono così al di sotto dei 5 miliardi, segnando -11.1% rispetto al 2013. Cala anche il margine operativo, del 9.6% da 1.13 a 1.02 miliardi. Gli effetti si ripercuotono anche sull’utile netto che, dopo i 62 milioni di attivo del 2013, registrano un rosso per 37 milioni.

La decisa virata in territorio negativo non impedisce tuttavia alla società di essere generosa dal lato dei dividendi. A2A prevede, infatti, di remunerare i propri soci con 0.0363 euro ad azione, in aumento del 10%. Ciò significa che verrà staccato un assegno da più di 110 milioni, dei quali 50 a testa andranno ai due soci di controllo, per la felicità delle giunte guidate da Pisapia e Del Bono.

Quello con i due capoluoghi lombardi è un rapporto, per A2A, storicamente complicato. I comuni battono sempre cassa e non è la prima volta che la politica dei dividendi segue le necessità delle finanze locali. I tagli del governo incombono da anni e, per aiutare a far quadrare i bilanci, i milioni delle società partecipate si rivelano così essenziali. Per il futuro, le prospettive di Palazzo Marino e Palazzo della Loggia sono addirittura ancora più rosee. Nel piano industriale della multiutility è infatti previsto un aumento costante della cedola, che sarà raddoppiata entro il 2019.

Da qui a 5 anni, quindi, i comuni di Milano e Brescia otterranno ciascuno 7.5 centesimi ad azione, per un totale di 100 milioni di euro a testa. “L’A2A che abbiamo immaginato al primo gennaio 2020 è un’azienda leader di mercato in grado di assicurare i migliori standard di qualità del servizio ai propri clienti, perseguendo obiettivi di sviluppo industriale capaci di generare valore per gli azionisti, i dipendenti, i territori e le comunità servite”, ha spiegato il presidente Giovanni Valotti.

Che i comuni possano tenere in piedi le proprie finanze, sempre traballanti, con i proventi delle società controllate, non è pratica in sé da censurare. Tali rapporti azionari sono anche cruciali ai fini della definizione della politica economica locale: il tema del settore nel quale opera A2A -energia, rifiuti, acqua- è d’altronde quello dei servizi pubblici essenziali, nei quali serve dare garanzia di accesso, a condizioni eque, a tutti i cittadini.

Il piano industriale presentato nei giorni scorsi prevede una diminuzione dell’indebitamento e l’aumento dei margini (la redditività lorda è data in aumento del 32%), ma questo in gran parte sarà dovuto alla razionalizzazione dei costi e alla riduzione della capacità termoelettrica. La generosità nello staccare le cedole agli azionisti di controllo significa invece privare -sia pur solo in parte- l’azienda dei flussi di cassa necessari per realizzare gli investimenti che, nel piano, dovrebbero raggiungere la cifra di 2.1 miliardi di euro.

Ciò che rileva è il fatto che la politica d’impresa sia piegata alle esigenze, in questo caso, dei comuni. L’intervento pubblico in economia dovrebbe in realtà seguire un paradigma diverso: svolgere funzione industriale prima e solo successivamente garantire allo Stato una remunerazione, qualora i bilanci lo permettano. Il rischio, al contrario, è scivolare nella tentazione di attingere alle imprese come fossero un comodo bancomat, ad uso e consumo degli amministratori. Una pratica che ha portato al parassitismo in molte realtà industriali in seno all’Iri, compromettendone l’efficienza e fungendo da “scusante” per la stagione delle privatizzazioni.

Filippo Burla

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