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Ad un passo dalla deflazione. I nodi di quest’Europa vengono al pettine

by Giuseppe Maneggio
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Lagarde-and-Draghi

La bassa inflazione dell’Eurozona e’ motivo di preoccupazione e potrebbe frenare la ripresa. Mario Draghi e Christine Lagarde appaiono impotenti di fronte ai loro stessi fallimenti.

Francoforte, 2 apr – Gli istituti di rilevazione statistica hanno diffuso gli ultimi dati relativi al mese di marzo. Eurostat attesta un’inflazione media nell’unione monetaria dello 0,5%, al di sotto delle attese, ma quel che più fa temere è il costante calo di mese in mese, frutto di uno stato deflattivo di un numero crescente di economie, tutte nel sud dell’Europa. Grecia, Cipro, Italia, fino ad arrivare alla Spagna che addirittura ha ufficialmente registrato prezzi in calo su base annua.

Potrebbe sembrare una buona notizia, ma non lo è, perchè in economia una bassa inflazione accompagnata da una costante assenza di crescita del prodotto interno lordo si traduce sempre in deflazione, ovverosia: debolezza della domanda di beni e servizi, cioè un freno nella spesa di consumatori e aziende, i quali poi attendono ulteriori cali dei prezzi, creando una spirale negativa. La riduzione dei prezzi si ripercuote sui ricavi delle imprese che calando costringono le aziende ad una riduzione delle spese sia per l’acquisto di beni e servizi da altre imprese, sia sul costo del lavoro. Insomma, un gorgo dal quale è difficile uscire.

Sebbene il Fondo Monetario Internazionale abbia definito lo stato in cui versa l’Eurozona attualmente di “lowflation”, ossia di bassa inflazione, non ha esitato ad allertare immediatamente la Bce  riguardo a un possibile scivolamento progressivo dell’area Euro verso la deflazione.

L’Italia, che resta pur sempre la terza economia del Continente, sembra avvicinarsi alla soglia critica, con l’aumento dei prezzi dello 0,4% a marzo, un tasso dimezzato in appena 4 mesi. Ma neanche la Germania, riconosciuta come la locomotiva europea, se la passa bene con un inflazione annua che si attesta attorno all’1%.

La Bce dal canto suo si trova per l’ennesima volta con le mani legate. Il suo statuto la vincola al target delle stabilità dei prezzi, e fin qui ci siamo, ma la difformità delle varie economie nazionali che compongono l’Eurozona, anche volendo, non le permette alcun tipo di intervento. Germania e il resto del nord Europa si trovano in una condizione ottimale di inflazione nè bassissima ma nemmeno alta e non vorrebbero certamente un surriscaldamento dei prezzi, cosa che al contrario sarebbe auspicabile per i paesi dell’area mediterranea. Se la Bce dovesse tagliare i tassi scontenterebbe la Germania e il nord ma accontenterebbe il sud, se viceversa dovesse tenerli fermi i tedeschi sarebbero soddisfatti, ma il Sud Europa no.

La “lowflation” incute molti timori perchè si ripercuote sulla crescita nominale del Pil, innalzando così il rapporto tra debito e prodotto interno lordo. Oltre a ciò si crea una spirale che rafforza l’euro contro le altre valute rendendo così difficile le esportazioni, a discapito delle ripresa della domanda aggregata (beni più servizi), già debole per via degli asfittici consumi interni.

La Germania non cede nemmeno un millimetro e mai rinuncerebbe alla sua stabilità dei prezzi interni. I margini di manovra dei politici sono vincolati ai già ridotti spazi che gli stessi tecnocrati hanno imposto. L’Eurozona non si regge più, e nessuno degli astanti pare abbia voglia di rivedere l’impianto su cui poggia tutta la costruzione europea.

Giuseppe Maneggio

 

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