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Autostrade: la nazionalizzazione più ridicola della storia

by Filippo Burla
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Roma, 12 giu – Con l’accoglimento, da parte del consiglio di amministrazione di Atlantia, dell’offerta di Cassa Depositi e Prestiti si conclude, dopo oltre vent’anni, l’esperienza dei Benetton alla guida di Autostrade: una nazionalizzazione di fatto, ma senza il corollario che ci si attendeva. Anzi: con uno schiaffo in piena regola ai 43 morti sotto al Ponte Morandi.

La “ratifica” del Cda era scontata. Quasi un passaggio formale dopo che la volontà dei soci si era formata in sede di assemblea alla fine dello scorso mese. Non poteva essere altrimenti: chi avrebbe potuto dire di no alla cospicua offerta da 9,3 miliardi, più 11 di debiti che lo Stato si accolla? Un ghiotto boccone a partire dagli azionisti di maggioranza, la famiglia di Ponzano Veneto, che se ne escono con un assegno da 2,4 miliardi. Giusto per dare un ordine di grandezza: sono 300 milioni in più dei 2,1 miliardi destinati alle manutenzioni nel periodo appena antecedente la tragedia del viadotto Polcevera.

Nazionalizzazione di Autostrade: l’unica opzione era la revoca

Per fortuna che “non è lo Stato che deve soldi ai Benetton, ma viceversa” spiegava Giuseppe Conte. Che c’entra l’ex premier? C’entra perché è sotto il suo governo che la trattativa oggi conclusa è stata portata avanti. Lasciando a Draghi solo il compito di arrivare al perfezionamento di una trama ormai già scritta. La manina del Pd e Italia Viva – che con i magliai veneti hanno più di qualche rapporto di, chiamiamola, reciproca stima – si vede lontano chilometri.

E per fortuna che Di Battista si dichiarava “soddisfatto” per “la famiglia Benetton presa a schiaffi”. Certo, in molti avrebbero voluto dargliene. E a cosa sono servite queste sberle, per quanto metaforiche? A fare di Autostrade la nazionalizzazione peggio riuscita della storia. Forse non solo italiana.

Il motivo è presto detto. Al di là dei toni usati, l’ipotesi revoca non è mai stata concretamente all’ordine del giorno. Era percorribile? Assolutamente sì. Presentava dei rischi? Certo, ma alla peggio avremmo pagato quel che stiamo comunque sborsando. Nella migliore delle ipotesi, insomma, i Benetton se ne sarebbero usciti magari senza manrovesci ma con le pive nel sacco. Non sarebbe stato forse meglio?

Filippo Burla

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