Circa quindici anni or sono le imprese cinesi presenti sul mercato italiano erano poche, anzi pochissime. In soli dieci anni le cose sono molto cambiate. Se facciamo riferimento all’anno appena trascorso ci rendiamo conto dei cambiamenti in atto. Ciò che è avvenuto con l’Opa sulla Pirelli è solo l’ultimo acquisto. Facciamo un rapido excursus.
L’Italia è al primo posto nel 2014 per gli investimenti cinesi. I dati parlano chiaro: 2.490 miliardi nell’energia, 598 milioni nei macchinari industriali, 50 milioni nell’agro-business e 32 milioni nei prodotti di consumo.
Secondo il Financial Times, infatti, nel 2014 l’Italia è stata l’obiettivo principale dello shopping cinese in Europa. La Banca del popolo cinese a luglio ha acquistato quote di Fiat-Chrysler (177 milioni di euro per il 2 per cento delle quote), Telecom Italia (310 milioni per il 2,081 per cento) e Assicurazioni Generali (475 milioni per il 2,014 per cento). A marzo era toccato a Eni (1,4 miliardi per il 2,1 per cento della società petrolifera) ed Enel (734 milioni per il 2,07 per cento). In maggio la Cassa depositi e prestiti ha ceduto il 40 per cento di Ansaldo Energia, che era appartenuta a Finmeccanica, allo Shanghai Electric Group per 400 milioni di euro. Ad agosto è volata a Pechino una parte di Prysmian, gruppo attivo nel settore dei cavi per le telecomunicazioni e il trasporto di energia: anche in questo caso è stata superata di poco la soglia del 2 per cento che obbliga a informare la Consob (70 milioni di euro per il 2,018 per cento). L’operazione più clamorosa è stata l’acquisto per 2,1 miliardi di euro, ancora dalla Cassa depositi e prestiti (cioè il Tesoro), del 35 per cento di Cdp Reti, ovvero Terna e Snam, a China State Grid.
In pratica, il più grande stato comunista-capitalista controlla gli asset strategici del nostro Paese.
Se poi, a questo, aggiungiamo la presenza delle attività imprenditoriali cinesi in Italia, viene fuori un quadro sconfortante. Se osserviamo i dati dell’anno appena trascorso ci rendiamo conto di molte asimmetrie. È boom dell’imprenditoria cinese, che cresce del 6,1% a fronte del -1,6% di quella italiana.
L’immigrazione, così dicono, è una risorsa e l’apertura dei mercati è l’unica via che ci porterà al benessere.
Gli imprenditori italiani chiudono bottega mentre i cinesi si comprano i loro capannoni. Inoltre, la Bank of China mette le mani sui nostri gioielli di famiglia. E la politica?
Semplicemente è assente. Ci affidiamo alla Provvidenza mercantilistica come avrebbe voluto Adam Smith: “Così la ricerca egoistica del proprio interesse trasformerà quelli che costituiscono vizi privati in pubbliche virtù”.
Ma i dati empirici sembrano però dirci il contrario. Nel 1986 la classifica PIL ci poneva al quinto posto nel mondo dopo Usa, Giappone, Germania e Francia. Eppure allora la partecipazione dello Stato nella vita economica del nostro Paese era assai elevata. Anche il debito pubblico direbbe qualcuno. Questo è vero. Certamente, però, il nostro disavanzo era nettamente inferiore a quello di oggi. Il rapporto Deficit/Pil infatti si attestava intorno all’80% oggi è quasi raddoppiato.
Tornado a parlare di libero mercato sicuramente è un bene competere con le altre potenze. Ma prima dobbiamo essere pronti per salire sul ring del mercato globale. In caso contrario ne usciremo con le ossa rotte. Oppure, sempre per citare Smith, rimarremo con mano davanti e una dietro. Invisibile s’intende.
Salvatore Recupero
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[…] il mar 23 2015 – 10:21am di Filippo Burla Tweet Pin It « PREVIOUS | Categorized […]
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