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Corneliani: non basta Giorgetti per salvare la moda italiana

by Salvatore Recupero
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Roma, 28 mar – La Corneliani, per il momento, è salva. La situazione sembrava mettersi male. Entro il quindici aprile lo storico marchio d’abbigliamento deve presentare al tribunale di Mantova un piano che eviti la liquidazione. L’accordo raggiunto martedì scorso al ministero dello Sviluppo Economico ha dato una boccata d’ossigeno ai quasi 500 dipendenti. La vertenza durava da 10 mesi e rischiava di far chiudere un’eccellenza italiana che opera sul mercato dal 1930.

La vertenza Corneliani e il ruolo di Bahrein Investcorp

Corneliani è un fiore all’occhiello del made in Italy. L’azienda, cha ha quasi un secolo di vita, da Mantova ha conquistato tutto il mondo. Purtroppo, come altre realtà della moda e del tessile in generale, ha affrontato nell’ultimi anni momenti di grande difficoltà. I passaggi generazionali non sono semplici da gestire. Per superare l’impasse la famiglia, pur mantenendo un pacchetto azionario, ha deciso di vendere la quota di maggioranza al fondo Bahrein Investcorp. Una delle attività predilette delle società guidata da Mohammed Mahfoodh Alardhi sono gli investimenti aziendali “mordi e fuggi”. Ad esempio sono entrati e usciti nell’azionariato di Gucci e Tiffany & Co. Lo stesso è avvenuto e avverrà in un altro centinaio di imprese. Non stupisce, dunque, che non volessero mettere le mani al portafoglio per risollevare l’azienda mantovana durante la crisi dovuta alla pandemia. Nulla di strano: è quello che fanno i fondi d’investimento.

Tornando a Corneliani, il punto di rottura si raggiunse lo scorso luglio quando le maestranze decisero di protestare per 40 giorni di fila. Dopo quelle calde giornate di lotta, il 22 luglio sul sito del Mise apparve il lieto annuncio: “È stata trovata una soluzione per la ripartenza delle attività produttive e per la salvaguardia occupazionale della storica azienda tessile Corneliani”. Questo era l’esito dell’incontro a Via Veneto a cui hanno partecipato i sottosegretari Alessandra Todde e Alessia Morani, le istituzioni locali, l’azienda, il commissario giudiziale e i sindacati. Il ministero dello Sviluppo economico (all’epoca guidato da Stefano Patuanelli) si era impegnato ad “intervenire attraverso il Fondo per la gestione delle crisi d’impresa, previsto nel Decreto rilancio, per supportare la ripresa delle produzioni di un importante marchio del Made in Italy”. Tuttavia, pare che non sia arrivato un euro se l’azienda era sul punto di portare i libri in tribunale.

La risposta del governo per salvare Corneliani

Oggi assistiamo ad un curioso déjà-vù, anche se tutti sono convinti che le cose andranno diversamente. Tuttavia, visto il pregresso, il condizionale è d’obbligo. Il nuovo titolare del Mise, Giancarlo Giorgetti, per salvare Corneliani si impegna ad investire 17 milioni di euro in una newco che vede la partecipazione di Invitalia ed investitori stranieri. L’operazione dovrà essere perfezionata entro il 13 aprile. La soluzione dovrebbe scongiurare la liquidazione della società e la scomparsa di una delle storiche aziende tessili italiane. È, altresì, previsto un ulteriore incontro al ministero tra sindacati ed azienda la prossima settimana.

Tuttavia, Giorgetti ci crede: “Oggi abbiamo fatto un passo in avanti decisivo. Questa proposta operativa vuol dire che si crede nella capacità della Corneliani di risollevarsi. Dopo questa riunione tutti al lavoro per ridare un futuro alle lavoratrici e ai lavoratori di Mantova”. Per il nuovo progetto industriale, Investcorp ha deciso di stanziare altri 7 milioni di euro nella Corneliani. Da Via Veneto arriveranno 10 milioni di euro attraverso la partecipazione di Invitalia. Ovviamente quanto è stato appena detto è riportato sullo stesso sito istituzionale, cambia solo la data.

La soddisfazione dei sindacati

Nonostante i corsi e ricorsi storici, il ministro leghista pare abbia convinto anche i rappresentanti dei lavoratori. “È questa una proposta positiva per la soluzione della vertenza – hanno commentato i sindacati – che scrive un nuovo futuro per i tanti lavoratori della Corneliani, e che avrà ricadute positive su tutto il settore della moda”. Le segreterie nazionali di Filctem, Femca, Uiltec ricordano al governo che “l’operazione dovrà concretizzarsi e concludersi entro il 15 aprile termine entro il quale l’azienda dovrà presentare al tribunale la domanda di concordato, che sarà, così come dichiarato al tavolo, concordato con continuità lavorativa a controllo indiretto da parte di Investcorp tramite la New Co”.

Come dire manca qualcosa. Ed infatti: “È necessario ora – conclude la nota- che l’azienda presenti il piano industriale di ristrutturazione complessiva, con particolare attenzione all’occupazione ed alle professionalità, che prevederà, tra le altre cose, anche un accordo con le organizzazioni sindacali, attraverso l’utilizzo di ammortizzatori sociali, finalizzato ad una gestione equilibrata dei pensionamenti per un adeguamento della forza lavoro”. È evidente che già sono rimasti scottati dalle promesse del predecessore di Giorgetti.

Non possiamo ignorare che in questa vertenza torna il tema dell’intervento pubblico dello stato in caso di crisi aziendali anche quando non si tratta di grandi aziende come l’ex Ilva. Anche il settore della moda merita tutta l’attenzione del governo, anche se anche i privati si stanno muovendo nella tutela dei nostri marchi.

Il Made in Italy fund e le nuove sinergie tra pubblico e privato

Ad investire nel settore della moda non ci sono soltanto società estere. Giovedì scorso, il Made in Italy Fund ha rilevato dal fondo di investimenti L Catterton il marchio Dondup. Così facendo il fondo di private equity (gestito e promosso da Quadrivio e Pambianco) ha aumentato la sua raccolta passando da 200 milioni (a oggi già investiti per più del 70%) a 300 milioni.

Il Fondo ha l’obiettivo di investire e valorizzare le pmi, eccellenze del Made in Italy (soprattutto nel settore della moda e dell’enogastronomia). “La strategia di investimento – come si legge sul sito ufficiale – prevede l’acquisto di partecipazioni in imprese leader nel mercato di riferimento, con una forte propensione alla crescita e vocate all’internazionalizzazione. Realtà che operano in mercati di nicchia e che consentano di avere multipli di ingresso particolarmente vantaggiosi”. Sembrerebbe solo una notizia per addetti ai lavori, ma in realtà ci mostra che sappiamo creare degli strumenti finanziari a tutela dei nostri marchi.

Se a questo aggiungiamo i progetti di Cassa Depositi e Prestiti e quelli di Invitalia, ci rendiamo conto che ci sono tutti gli ingredienti per una proficua sinergia tra pubblico e privato. Allora cosa manca per rilanciare la nostra economia? In primis, un progetto, una strategia. Per quello però serve la politica con la P maiuscola che al momento è latitante.

Salvatore Recupero

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3 comments

Fabio Crociato 28 Marzo 2021 - 12:14

Strumenti finanziari o meno, andiamo al sodo. Corneliani ed aziende similari hanno approfittato di un pompato mercato con il vento in poppa e narcisisti a bordo per rifilare abiti a prezzi e foggia assurdi. Oltretutto con un management di progressisti, boccaloni oriented ad oltranza. Sono stati presi per i fondelli sia la clientela che i lavoratori. Prova ne è l’ intervista, il parere, gli sviluppi di pensiero di un indegno furbacchione che risponde al nome di G.Armani. Ci dice, sostanzialmente, che non possiamo più vendere caro un prodotto che cambia al girar delle stagioni, dobbiamo piuttosto lavorare su un prodotto duraturo classico, tipo British! “Caro, dolce Armani” come ti ricordo a Pantelleria di giorno sul mega-gommone colmo di soli maschietti e nella discoteca che ti vedeva arrivare alle quattro della mattina per captare idee moda agli imberbi perdinotte, seppur in gradevole compagnia della civettuola O.Muti… Gli errori si pagano ma bisogna valutare chi li paga e le dovute proporzioni! Altri casi Benetton, ma senza morti precipitati. Sarà da valutarsi, speriamo di no, solo “qualche” suicidio od eutanasia per impossibilità di morire di vecchiaia nel proprio letto.

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Marc 30 Marzo 2021 - 6:24

Grazie euro.

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Fabio Crociato 31 Marzo 2021 - 6:51

Sì l’ euro c’ entra, ma ancor di più il desiderio di far soldi a palate sulla pelle degli altri! Non si sfrutta vergognosamente il momento “propizio” assumendo un sacco di lavoratori ben sapendo che il vento cambierà e che molti degli stessi lavoratori, invecchiati, dovranno tornare a casa e/o restare a carico di terzi.

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