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Uscire dall’euro. E dopo?

by La Redazione
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Cosa succede se l'Italia esce dall'EuroRoma, 3 apr – Per sovranità monetaria si intende quella situazione caratterizzata dalla compresenza di due “gradi di libertà” per la politica economica di un Governo nazionale:

  1. Possibilità di scaricare sul cambio nominale i differenziali cumulati di competitività
  2. Possibilità di monetizzare direttamente o indirettamente il deficit pubblico

In un suo recente articolo, il celebre economista postkeynesiano francese Jacques Sapir analizza l’andamento della competitività delle principali economie dell’Eurozona rispetto alla Germania.

In sintesi, egli rivela che per l’Italia il problema principale è dato in questo senso da una sempre declinante (dalla metà circa degli anni ‘90) produttività del lavoro, che penalizza fortemente le imprese nazionali, in particolare le piccole e medie imprese, cosa che richiederebbe ancora anni di deflazione dei salari per poter essere compensata.

Coerentemente, Sapir auspica che anziché continuare sulla strada dell’austerità omicida, si torni alle valute nazionali, che oscillando liberamente permetteranno ai differenziali di competitività di scaricarsi sul cambio e quindi riportare il sistema in equilibrio.

Il ragionamento, che poi è lo stesso di molti economisti euroscettici (in Italia soprattutto Bagnai e Borghi Aquilini, quest’ultimo consulente economico di Matteo Salvini e candidato in Toscana con la Lega) regge sicuramente sotto il profilo tecnico, ma molto di meno sotto quello politico. Se infatti la Germania ha aderito all’eurozona per poter realizzare ampi surplus commerciali senza per questo veder rivalutare il marco, non accetterà certo di buon grado la possibilità che l’Italia, la Francia, la Spagna, il Portogallo, la Grecia possano ritornare competitive utilizzando la leva del cambio.

A scanso di equivoci: un riallineamento ci sarà sicuramente, e sarà una salutare boccata d’ossigeno per le nostre imprese (più esportazioni e meno importazioni) ma è impossibile che sia delle dimensioni auspicate dagli economisti euroscettici, perché una volta che il marco iniziasse a schizzare potentemente verso l’alto, la Bundesbank con tutta probabilità inizierebbe ad acquistare lire ed altre valute sui mercati finanziari a fine calmierare il proprio cambio, esattamente come ha fatto per anni la Svizzera.

Lasciamo perdere in questa sede il fatto che poi mosse di questo tipo alla fin fine si rivelano sempre insostenibili, perché il gioco può andare avanti per anni, e di guerre valutarie in corso nel mondo ce ne sono già abbastanza. Non vogliamo dire che la svalutazione sia inutile, solo che chi si illudesse di risolvere i nostri macroscopici problemi di competitività semplicemente agendo sul cambio, è un illuso.

In assenza di una critica radicale al modello neoliberista, l’uscita dall’euro e la conseguente svalutazione rappresentano solo delle salutari boccate d’ossigeno, checché ne pensi Sapir, che come tutti gli economisti fatica a vedere il dato politico oltre quello meramente contabile.

Per questo è necessario un piano di sviluppo di lungo periodo che si ponga come obiettivo fondamentale l’incremento della produttività del lavoro intesa come unico modo sano e stabile (nonché del tutto indipendente da potenze estere) recuperare la competitività perduta.

Una ragionevole monetizzazione del deficit pubblico, per esempio intorno ai 100 miliardi all’anno per 5 anni, come proposto da Nino Galloni, potrebbe spalancare la porta ad immense possibilità. Energia, trasporti, telecomunicazioni, ricerca (pubblica da finanziare, privata da detassare), ambiente sono solo i settori principali che potrebbero essere inseriti all’interno di questo programma.

È questa in realtà la sfida: acquisire i volani tecnologici necessari a reggere alla sfida multipolare del 21esimo secolo, che si giocherà sul nucleare certo, ma anche e soprattutto sulle nuove vie di comunicazione ferrate ad altissima velocità ed efficienza come la cosiddetta “nuova via della seta” sponsorizzata dalla Cina. Se qualcosa è fisicamente possibile, lo è anche finanziariamente. Di fatto è questo quello che intendeva Pound con la sua celebre massima: “Dire che uno stato non può perseguire i suoi scopi per mancanza di denaro è come dire che un ingegnere non può costruire strade per mancanza di chilometri”.

Matteo Rovatti

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