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Effetto Jobs Act: nel 2016 crollano i contratti a tempo indeterminato

by Filippo Burla
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tempo indeterminato polettiRoma, 24 feb – Era inevitabile questione di pochi mesi e, con la fine degli incentivi, le aziende sono tornare a non assumere più. E’ così che nel 2016 si è assistito ad un vero e proprio tracollo verticale delle assunzioni a tempo indeterminato.

Sono dati impietosi quelli dell’osservatorio Inps sul precariato, che parla di un quasi dimezzamento dagli oltre 2 milioni di rapporti stabili del 2015 agli 1,2 milioni registrati l’anno scorso. Un passo del gambero notevole, che fa tornare i numeri indietro su livelli inferiori addirittura rispetto al 2014.

La dinamica delle assunzioni è positiva (+340mila) solo grazie al contributo dei rapporti di lavoro a termine, tornati a crescere – una coincidenza pressoché perfetta – con il progressivo esaurirsi degli incentivi per quelli a tempo indeterminato: “Il risultato del 2016 è imputabile prevalentemente al trend di crescita netta registrato dai contratti a tempo determinato, il cui saldo annualizzato, pari a +222.000, ha significativamente recuperato la contrazione registrata nel 2015 (-253.000), indotta dall’elevato numero di trasformazioni in contratti a tempo indeterminato”, spiegano dall’Inps.

Non va meglio nemmeno per le retribuzioni iniziali dei nuovi rapporti: “Si registra, per le assunzioni a tempo indeterminato intervenute nel corso del 2016, una riduzione della quota di retribuzioni inferiori a 1.750 euro, che passa dal 60,6% del 2014 e del 2015 al 57,3% del 2016. Si tratta di una tendenza registrata anche nei mesi precedenti”, si legge sempre nel rapporto dell’Istituto.

Come previsto, scaduti gli incentivi per assunzioni e trasformazioni, le aziende hanno dunque riportato sulla terra le speranze del ministro Poletti. Il segnale che arriva è chiaro: le mancate assunzioni non sono dovute all’impossibilità di licenziare più liberamente (opportunità offerta dal Jobs Act per i contratti a tempo indeterminato di nuova attivazione), ma ad una mera questione contabile, legata al cuneo fiscale sul lavoro che è tornato a salire dopo che il governo non ha rinnovato gli sgravi contributivi.

Filippo Burla

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