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Draghi rilancia il Qe. Ma a goderne, per ora, sono solo i mercati

by Filippo Burla
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Draghi rilancia sull’immissione di liquidità. Ma la frenata dell’inflazione dipende dal crollo del petrolio, non dalla moneta.


Francoforte, 4 set – Mario Draghi tenta l’affronto di petto alle turbolenze che giungono dai mercati cinesi e, forse spiazzando chi è abituato alle lungaggini burocratiche europee, annuncia d’un colpo di voler estendere l’operazione di alleggerimento quantitativo (più noto come quantitative easing), cioé l’immissione di liquidità sui mercati, oltre i termini originari.
Prima la Grecia -la cui situazione è comunque sub iudice, ben lontana ancora dall’essere risolta- ora la Cina e le minacce di una nuova recessione globale. Nel mezzo, la crescita nella zona euro che stenta a riprendere. Sopra tutto, però, il grande cruccio della Bce, vale a dire l’inflazione. L’obiettivo principe dell’istituto centrale di emissione dell’eurozona è infatti sempre lo stesso, da anni: garantire stabilità ai prezzi, puntando ad un tasso vicino (ma sotto) al 2% annuo. Nonostante le massicce iniezioni di moneta sonante, da marzo ad oggi l’indice dei prezzi si mostra tuttavia ancora asfittico, segnando una crescita che non va oltre lo 0.2%, con la prospettiva addirittura di dimezzarsi verso la fine dell’anno. Un valore troppo distante dal risultato prefissato, tanto da dover ripetere la strategia al rialzo. Tanto che la Bce, “avvalendosi di tutti gli strumenti disponibili nell’ambito del suo mandato”, ha spiegato Draghi, potrà estendere il Quantitative easing anche oltre il settembre del prossimo anno, che inizialmente era dato come limite indicativo.
Una questione rimane comunque aperta: le iniezioni di liquidità, alla fine, servono davvero? Da marzo ad oggi sono stati acquistati titoli per 60 miliardi ogni mese, per un totale di liquidità immessa nel mercato pari dunque ad almeno 400 miliardi. Eppure, come detto, gli effetti sull’inflazione -e quindi, in parte, anche sull’economia reale- proprio non si sono visti. D’altronde l’impostazione teorica seguita dalla Bce è la più classica che possa esistere, per cui l’inflazione sarebbe una questione meramente monetaria. La realtà dei fatti supera però i modelli (teorici) d’accademia, arrivando fino a ribaltarli. Non è infatti un caso che la mancata crescita globale dei prezzi stia coincidendo con il crollo del prezzo del petrolio, che nell’ultimo anno ha perso circa il 50% del suo valore. E non serve sottolineare quale sia l’impatto dell’oro nero su pressoché ogni aspetto della vita quotidiana, dall’energia ai carburanti alle materie plastiche. Ricondurre il tutto ad un mero fatto di quantità di valuta circolante diventa dunque riduttivo, probabilmente non efficace e forse addirittura dannoso.
Perché, al momento, gli unici a beneficiare della politica adottata dalla Bce sono state le borse. Dopo l’annuncio di ieri è scattata la corsa agli acquisti, mentre oggi la stabilizzazione dell’euforia di ieri porta ad un fisiologico calo. In assenza di shock esterni (come accaduto con la tempesta cinese poco tempo fa) non è perciò escluso che possano formarsi anche bolle speculative.
Filippo Burla

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