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Draghi taglia ancora i tassi, ma l’impressione è che non sappia più che fare

by Filippo Burla
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Ancora una mossa da parte della Bce: Mario Draghi taglia i tassi e rilancia sul Qe, alla ricerca di una crescita e di una inflazione che però non si vedono

Francoforte, 3 dic – La Banca Centrale Europea ha deciso di limare al ribasso il tasso d’interesse sui depositi al -0.3%, 0.1 punti in meno rispetto al -0.2% precedente. Una mossa, quella di Draghi, attesa dai mercati (che forse si aspettavano, in realtà, qualcosa di più) e con la quale il governatore prova a dare un’ulteriore spinta all’economia reale e all’inflazione. Con che risultati?

Il tasso di interesse sui depositi rappresenta il rendimento per quelle somme che le banche decidono di “parcheggiare” presso la Bce. La sua limatura al ribasso è un tentativo di stimolare gli istituti di credito a fare più prestiti ad imprese e famiglie: se il rendimento è negativo – è il ragionamento – le banche saranno invogliate a investire nell’economia reale piuttosto che vedere il capitale erodersi.

Più di qualche dubbio sull’efficacia della manovra dell’eurotower risiede nel fatto che il tasso era già sottozero ma, nonostante ciò, gli effetti non si sono avvicinati a quelli attesi. La scelta di Draghi è quindi forse da “ultima spiaggia” per tentare l’ennesima spinta ad una ripresa che non arriva? Perché sì, i numeri sono in territorio positivo. Ma di zero e virgola si tratta: cifre che, al netto di errori statistici, rappresentano una stagnazione più che una crescita.

Altro grattacapo per il governatore della Banca centrale europea è dato dal Quantitative Easing. Lanciato in pompa magna lo scorso marzo, si poneva come obiettivo quello di rilanciare l’inflazione attorno al 2%. Nel mese di novembre, il risultato è in effetti stato in linea con le attese: +0.1%. E secondo le stime, a quella stessa modesta cifra si attesterà a fine 2015. Da qui la scelta di rilanciare sull’acquisto di titoli per inondare l’eurozona di liquidità: il Qe non si arresterà a settembre 2016 ma andrà avanti – al ritmo di 60 miliardi al mese – almeno sino a marzo 2017.

“Le decisioni di oggi sono state prese al fine di assicurare che l’inflazione torni sotto, ma vicina, il 2% e quindi per stabilizzare le aspettative sul medio-lungo termine”, ha spiegato Draghi, che ha anche annunciato la volontà di includere, negli acquisti della Bce, anche i titoli degli enti locali.

Anche qui, come già sottolineato, nonostante il “bazooka” del governatore i risultati sono stati abbastanza scarsi. Pesa probabilmente l’impostazione ideologica: se si ritiene che l’inflazione sia un fatto meramente monetario, allora la massa di euro pompati artificiosamente negli ultimi tempi avrebbe dovuto risultare in una schizzata all’insù negli indici dei prezzi. Così non è stato. Ha pesato, infatti, il calo del prezzo del petrolio: ma allora l’inflazione non è (o meglio: non è solo) una questione di moneta, ma dipende da tutta una serie di variabili che però, dalle parti della Bce, non sembrano voler considerare.

Filippo Burla

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