Il Cairo, 10 set – A pochi giorni dall’eccezionale scoperta di Shorouk, il campo petrolifero in concessione ad Eni nella zona del Delta del Nilo, il Cane a sei zampe non lascia ma, potenzialmente, raddoppia.
Al di sotto del gigantesco giacimento dei Zohr, infatti, “probabilmente ce n’è un altro, forse di condensati o olio”, ha spiegato ieri in audizione al Senato l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, sottolineando inoltre che la stima iniziale di 850 miliardi di metri cubi gas è “conservativa”, lasciando quindi spazio a revisioni al rialzo di una scoperta che già di suo, potenzialmente, potrebbe garantire all’Egitto autonomia energetica sul fronte dell’oro blu per gli anni a venire.
Descalzi è poi sceso nel dettaglio, spiegando le caratteristiche del giacimento: “Non c’è Co2, non c’è zolfo, è praticamente metano, quasi non deve essere trattato, c’è una grande pressione e una temperatura bassa”, senza considerare che “a poche decine di km dalla nostra installazione, e praticamente di fronte, Al Gamil, c’è il nostro centro di trattamento”. Condizioni ideali per contenere i costi e velocizzare il cosiddetto time to market, cioé il lasso di tempo che intercorre fra la scoperta e la commercializzazione. L’ad di Eni ha parlato di circa 10 miliardi complessivi, al di sotto dei valori medi di settore per chi parte da zero, con data prevista di inizio sfruttamento il 2017: se la data dovesse essere confermata si tratterebbe di un record nonché una vittoria per la società che, a differenza dei suoi principali concorrenti e nonostante gli andirivieni nei prezzi del barile, negli ultimi anni non ha mai distolto lo sguardo dall’esplorazione e dalla ricerca, segnando importanti successi dal Venezuela, al Congo, al Mozambico.
Filippo Burla
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