Roma, 3 mag – Il lockdown sta mettendo in ginocchio gli esercenti. Questa non è certo una novità. Purtroppo dobbiamo registrare ogni giorno previsioni sempre più fosche sul futuro del nostro terziario. Questa volta è il turno di Unimpresa. Secondo l’associazione datoriale “il 30% delle attività legate al commercio al dettaglio e alla ristorazione a giugno non sarà in condizione di ripartire e non riaprirà”. Capire il perché non è certo difficile.
La previsione di Unimpresa
Non ci vuole un esperto in economia per comprendere le ragioni degli esercenti che vogliono chiudere bottega. Secondo il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora, le attività legate alla ristorazione e al commercio al dettaglio “non hanno avuto accesso ai 25 mila euro propagandati dal governo. Tutti, inoltre, si dovranno attenere alle nuove disposizioni sulle distanze. In sintesi, un bar che riapre a giugno potrà lavorare con un terzo dei clienti semplicemente perché non li potrà fare entrare nel proprio esercizio. Vuol dire anche un terzo degli incassi, ma con gli stessi costi fissi come bollette, affitti, tassa sul suolo pubblico, rifiuti”. L’allarme lanciato da Spadafora non riguarda solo gli addetti al suddetto settore. Sarà l’economia nazionale ad uscirne con le ossa rotte se queste previsioni venissero confermate. Andiamo con ordine.
La chiusura del 30% di negozi, bar e ristoranti, considerando le attività connesse, potrebbe portare ad una riduzione del giro d’affari complessivo che interessa 250 miliardi di euro di prodotto interno lordo. Il calcolo di Unimpresa si basa sul presupposto che: “Il 60% del pil è legato al mercato interno e che il 30% di questo mercato (ovvero il 18% del totale del pil) potrebbe subire pesanti ripercussioni”. La crisi di queste aziende peserebbe anche pesantemente sull’erario: la riduzione del gettito potrebbe arrivare a 80 miliardi, mentre dalle casse dello Stato continuerebbero a uscire fondi in favore dei nuovi disoccupati.
Il lockdown sta soffocando gli esercenti
Il problema però non riguarda solo i ristoratori. Esistono anche altre categorie di esercenti che verranno danneggiati da una regolamentazione troppo igienista. Facciamo un esempio pratico. Pensiamo ad un negozio di vestiti: il titolare sarà costretto ad igienizzare anche più volte al giorno ogni capo d’abbigliamento provato dal cliente. Se quest’ultimo non compra nulla per l’esercente il danno sarà doppio: mancato guadagno e danneggiamento della merce invenduta. Le grandi catene forse sopravvivranno, ma i piccoli negozi saranno costretti ad abbassare le saracinesche per sempre. Così molti ex commercianti andranno ad ingrossare le fila dell’esercito dei disoccupati.
Sarà, dunque, inevitabile un calo vertiginoso degli acquisti, perché diminuiranno coloro che possono spendere. Secondo una nota di Confcommercio, assisteremo ad un tracollo da 84 miliardi. L’associazione che rappresenta i commercianti sostiene che solo da ottobre si potrà tornare a “una fase di totale normalità, seppure con l’attivazione di protocolli di sicurezza che modificheranno i comportamenti di famiglie e imprese”. Saranno probabilmente pochi gli esercenti che avranno la forza di arrivare in autunno se a giugno un terzo di essi abbasserà la serranda. “Oltre tre quarti della perdita dei consumi – prosegue la nota dei commercianti – sono concentrati in pochi settori di spesa: vestiario e calzature, automobili e moto, servizi ricreativi e culturali, alberghi, bar e ristoranti. Questi ultimi due, in particolare, sono i comparti che registrano le cadute più pesanti: -48,5% per i servizi di alloggio e -33,3% per bar e ristoranti. Per questi due importanti settori le stime sono molto prudenziali: le cadute potrebbero risultare a consuntivo decisamente più gravi se il ritorno alla “nuova” normalità sarà particolarmente lento”.
Uno Stato assente
Le analisi fin qui riportate sono sovrapponibili e non fanno altro che confermare i rapporti realizzati dai più autorevoli istituti di ricerca. Anche se gli italiani non si fidano più delle istituzioni, ora, più che mai, la palla passa al governo. Purtroppo, finora, l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte non si è rivelato all’altezza. I soldi che Palazzo Chigi aveva promesso alle aziende ancora non arrivano se non sotto forma di prestito (a discrezione della banca). Manca un contributo a fondo perduto che poteva rappresentare la scialuppa di salvataggio per salvarsi dalla tempesta. Gli esercenti stanno soffocando, ma probabilmente l’ossigeno arriverà quando il paziente sarà morto.
Salvatore Recupero
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