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Federica Guidi, il ministro per lo sviluppo economico…della Romania

by Filippo Burla
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federica-guidi-ministro-sviluppo-economico-200x300Roma, 25 feb – “Donna, imprenditrice, quarantenne, famosa”. Così Matteo Renzi aveva tracciato il profilo del neoministro dello Sviluppo economico. E così è stato, con la nomina di Federica Guidi. Laurea in Giurisprudenza, la Guidi ricopre importanti incarichi operativi nell’impresa di famiglia, la Ducati Energia. Presidente dei giovani imprenditori dell’Emilia Romagna prima e presidente dei giovani imprenditori di Confindustria a livello nazionale poi, completa il cursus honorum nell’associazione degli industriali con la vicepresidenza generale della stessa. E’ accreditata inoltre di una forte vicinanza all’ex premier Silvio Berlusconi, che in questo modo e nonostante sia in via ufficiale all’opposizione avrebbe ottenuto uno scranno ministeriale.

A prendere il posto di Flavio Zanonato va quindi una personalità non di secondo piano, in funzione più tecnica che politica, relativamente giovane e con già esperienza alle spalle. Tra le prime scelte, quella di rinunciare ai ruoli rivestiti nella sua azienda, al fine di fugare ogni qualsiasi possibile dubbio relativo al conflitto di interessi. Questo perché la Ducati Energia lavora, tra le altre cose, anche su commesse pubbliche sia a livello nazionale che sull’estero. Un beau geste di marca spiccatamente anglosassone. Non un’abitudine “italiana”, in effetti. A che pro? La Guidi non è una dipendente dell’aziendia come potrebbe essere fin un amministratore esterno, ma a tutti gli effetti parte della famiglia proprietaria. Non manager di diritto, a prescindere dal ruolo ricoperto, ma di fatto.

Al di là del conflitto di interessi –del quale abbiamo già dato ampiamente conto su queste pagine– il dato rilevante è tuttavia un altro: logo_left_ducatiDucati Energia, come altre aziende di rilevanza internazionale, non disdegna la pratica della delocalizzazione produttiva. Romania e Croazia per restare in Europa, poi India e perfino Argentina. La ricerca di “migliori” condizioni (e cioé salari ridotti all’osso, diritti sindacali azzerati, ambienti di lavoro insalubri) non nasce certo oggi e l’azienda bolognese non ne é la capofila. Non esistono poi leggi imperative che, al momento, vietino queste scelte d’impresa.

Ciò che risulta però singolare è il fatto che la Guidi non sia chiamata ad un ministero come l’istruzione o l’ambiente ma a quel ministero dello Sviluppo ai cui tavoli siedono le aziende in stato di crisi. Ivi comprese quelle realtà che minacciano ricatti salariali e chiusure di stabilimenti come strumento di pressione per strappare contributi o far digerire la pillola amara dei licenziamenti. Uno dei primi dossier in mano al dicastero sarà peraltro la questione Electrolux, la multinazionale svedese che chiede il dimezzamento dei salari per “avvicinarli” a quelli che la stessa corrisponde ai lavoratori polacchi. Senza dimenticare i casi di Telecom, le privatizzazioni -per le quali lavorerà in stretto contatto con il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan– e tutte le riforme in divenire sui nodi cuneo fiscale e competitività internazionale del sistema-Italia.

Il nuovo corso nel dicastero di palazzo Piacentini e che fu sede dell’allora ministero delle Corporazioni, non comincia sotto i migliori auspici.

Filippo Burla

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Lo sviluppo della Guidi multi(de)localizzatrice | casafeliceblog 7 Marzo 2014 - 10:44

[…] chi in Italia dovrebbe ancora investire? Riporto uno stralcio dell’articolo di Filippo Burla per Il Primato nazionale.it che sottoscrivo in […]

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«Fiat può fare quello che vuole». Parola di ministro | IL PRIMATO NAZIONALE 11 Aprile 2014 - 10:00

[…] Una posizione curiosa, se si pensa alla “scommessa” lanciata da Matteo Renzi solo pochi mesi fa, quando aveva affermato: «Io sto dalla parte di Marchionne, dalla parte di chi sta investendo sul futuro delle aziende, quando tutte le aziende chiudono, e’ un momento in cui bisogna cercare di tenere aperte le fabbriche». Che la Fiat abbia investito è fuori dubbio. Che l’abbia fatto -ed in che termini- in Italia è altra questione. Certo, l’azienda di Torino (con sede legale ad Amsterdam e domicilio fiscale a Londra) non è più quella degli anni ottanta: nuovi modelli, nuove politiche industriali. Niente più contributi a fondo perduto da parte dello Stato, anche se i 7 miliardi -calcolati peraltro al ribasso- di aiuti fra diretti ed indiretti stimati dalla Cgia di Mestre sono ancora lì. Rimangono invece le ore di cassa integrazione autorizzate, i ricatti contrattuali portati avanti dall’amministratore delegato così come le produzioni spostate all’estero all’eterna ricerca di salari da terzo mondo. D’altronde, lo stesso ministro, la cui famiglia è titolare della Ducati Energia, non è estranea alla pratica delle delocalizzazioni. […]

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