Roma, 23 lug – Se dovessimo riassumere l’esperienza del governo Draghi in poche parole, “Piano nazionale di ripresa e resilienza” sarebbero le più adatte allo scopo. Forse addirittura le uniche possibili, tanto è stretto il legame tra Pnrr e genesi – nonché svolgimento – del mandato dell’ultimo inquilino di Palazzo Chigi. Talmente stretto da rendere quasi superfluo ogni ragionamento di natura politica, retroscenista o meno, sulla sua conclusione.
Riavvolgiamo un attimo il nastro e torniamo all’inverno 2021. L’Italia è alle prese con la redazione del piano necessario ad attingere alle risorse messe a disposizione da Bruxelles con il Nex Generation Eu. E’ qui che le (già) evidenti deficienze dell’accozzaglia Pd-M5S si sublimano: le scarne e vaghe pagine che l’esecutivo Conte intende presentare non sembrano minimamente adatte allo scopo. Non per scarsa fede “europeista” – con Gualtieri ministro dell’Economia l’obbedienza cieca, pronta ed assoluta nei confronti della Commissione era dato acquisito – bensì per manifesta incapacità. Il rischio di perdere il treno era talmente alto da costringere il presidente della Repubblica ad intervenire.
Così il governo Draghi ci ha messo sotto tutela Ue
Quale treno, però? Non certo quello dei fondi comunitari, dato che – come abbiamo più volte sottolineato – si tratta pur sempre di soldi nostri, somme che potevamo (almeno fin tanto che il programma di acquisti Bce era in vigore) raccogliere senza problemi nel giro di una manciata di aste di Titoli di Stato. Il tutto senza alcuna condizione di sorta, né occhiuta vigilanza con cui la Commissione ci impone di spendere quelle risorse secondo progetti da essa ritenuti prioritari ma, spesso e volentieri, con macroscopiche contraddizioni. Come ad esempio quando si parla della costruzione di nuovi ospedali, a fronte però di una spesa sanitaria prevista in calo – il rispetto degli assurdi parametri comunitari di bilancio è parte integrante della strategia Ue – e rende perciò impossibile assumere i medici e gli infermieri necessari a rendere operative queste strutture.
Insomma, non è questione di fondi Ue. Non la è mai stata. Il rischio, stante la marchiana incompetenza di Conte e sodali, era di non infilare per bene la testa nel cappio dell’ennesimo vincolo esterno. Quello per cui ci prestano i nostri soldi, concedendo di spenderli alle loro condizioni, minacciando di sospendere i pagamenti nel caso in cui non si facciano i “compiti a casa”. Se non è estorsione, poco ci manca. E chi meglio di un ex governatore della Bce per raggiungere l’obiettivo? Ecco spiegato il governo Draghi: un esecutivo di scopo, con l’unico compito di mettere in piedi una struttura – burocratica in primis, dunque al riparo dal processo elettorale – capace di sopravvivergli e condizionare le decisioni di ogni possibile maggioranza da qui ad almeno il 2026, quando verrà corrisposta l’ultima rata. Un pilota automatico a tutti gli effetti, blindato a doppia mandata.
La missione è stata adempiuta con discreto successo e ora il vile affarista può levare le tende. Giusto in tempo per abbandonare la nave prima dell’arrivo di un iceberg che ha le sembianze del fantomatico “scudo antispread”, quel Transmission protection instrument appena varato dall’Eurotower che promette di metterci ancora più sotto tutela.
Filippo Burla
3 comments
O la pace o i condizionatori accesi.
Aiutatemi a ricordare chi potrebbe averlo detto
[…] Pilota automatico. Perché la “struttura Draghi” condizionerà ogni possibile governo da… […]
[…] spacciato per una risorsa ma, come abbiamo noi stessi più volte sottolineato, in realtà un vero “pilota automatico” che ci mantiene ancora più ingabbiati di quanto non lo siamo stati nel recente passato, almeno […]