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Il decreto “sblocca Italia”? «Non basta»

by Filippo Burla
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SquinziRoma, 1 set – La bocciatura arriva direttamente in casa del destinatario. Ed è il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, a pronunciarla. Siamo alla festa nazionale de l’Unità a Bologna, dove l’imprenditore modenese è intervenuto ad un dibattito a fianco del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Del Rio.

Parte della discussione ha investito lo “sblocca Italia”, il decreto appena approvato che, fra rimodulazione dei finanziamenti, promessa di rivedere il corposo codice degli appalti, sostegno dei privati e altre misure punta al riavvio quasi immediato di opere per almeno 10 miliardi di euro. Tra queste, prioritariamente l’alta velocità Napoli – Bari, l’asse ferroviario Messina – Catania – Palermo, l’eterna linea C della metropolitana di Roma e lo sviluppo del sistema aeroportuale, in virtù anche del recente accordo Alitalia – Etihad.

Una serie di opere che assumono rilevanza strategica nella riduzione del nostro deficit infrastrutturale. Pur tuttavia, il presidente dell’associazione degli industriali non ha usato mezzi termini: «L’ammontare reale disponibile , di cui si è parlato, secondo una nostra sensazione non sarà sufficiente per far ripartire realmente il Paese». Sempre lo stesso Squinzi ha poi proseguito: «I concetti che ci sono condivisibili. Il problema è la reale disponibilità dei fondi per sostenere questi investimenti».

La critica di Squinzi nasce dal fatto che il decreto, caricato di aspettative, non soddisfa nella sostanza l’esigenza che si prefigge nel nome. Il partenariato pubblico – privato, il commissariamento ed il reperimento di risorse tramite un semplice tratto di penna sono strade già percorse nel tempo, da decenni, che non hanno però portato ad alcuna accelerazione nei lunghissimi iter autorizzativi e di svolgimento effettivo dei lavori. In secondo luogo, con riferimento alle risorse, non si può non rilevare come il puntare alle grandi opere non abbia effetto di sostegno alle realtà imprenditoriali. L’alta velocità Napoli – Bari, ad esempio, partirà sì con due anni di anticipo (stando alle previsioni dell’esecutivo) ma, visto che era prevista in avvio nel 2017, significa che nell’ipotesi più ottimistica non vi sarà un solo lavoratore impiegato fino ad almeno il prossimo anno.

Diverso sarebbe stato puntare sulle opere cosiddette “immediatamente cantierabili”, vale a dire quei piccoli lavori -nella maggior parte dei casi su base comunale e provinciale- che possono partire dall’oggi al domani e che riguardano la manutenzione delle strade, la sistemazione idrogeologica sempre più trascurata, i lavori di bonifica ambientale. Sarebbe a questo pro servito un immediato allentamento degli assurdi vincoli del patto di stabilità interno. Una decisione, quest’ultima, tuttavia difficilmente traducibile nelle comode e propagandistiche diapositive.

Filippo Burla

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