Roma, 12 giu – Se da anni a questa parte il ministro dell’Economia di turno interviene per annunciare che siamo nel trimestre decisivo per la ripresa, ormai è palese: c’è da non crederci. Ultimo in ordine di tempo Pier Carlo Padoan, che si affanna per spiegarci che finalmente siamo fuori dalla recessione, ma senza illustrare perché il Pil continua ad ostinarsi a non crescere (una crescita inferiore almeno al 2% non può essere considerata tale, visti gli anni dai quali veniamo) e, soprattutto perché se di crescita si parla, perché la disoccupazione – specie quella giovanile – prosegue imperterrita nel terreno della doppia cifra. È dovuto allora arrivare il Fmi, che certo non brilla per lungimiranza né di analisi né di proposte – vedi alla voce Grecia, a spiegare che, in effetti, la situazione è un attimo diversa.
“La ripresa dovrebbe continuare, ma i rischi sono significativi”, spiegano i tecnici del Fondo, sottolineando come non sia proprio tutto merito dell’Italia se abbiamo il segno più davanti ai conti nazionali: il prodotto potrebbe infatti crescere ancora nel breve periodo, ma questo principalmente “grazie ad una più forte ripresa europea”. Se questa ripresa non dovesse consolidarsi, i rischi di una revisione al ribasso sono “significativi, legati tra gli altri elementi alle fragilità finanziarie, alle incertezze politiche, a possibili battute d’arresto nel processo di riforme e ad una rivalutazione dei rischi sul credito nel corso di normalizzazione della politica monetaria”, si legge sempre nel rapporto del Fmi.
Fra le altre problematiche, il sempiterno debito pubblico – a proposito: senza un Pil che cresca di misura oltre il costo del debito (attualmente attorno al 3%, un po’ in discesa grazie al bazooka monetario di Draghi) il percorso di riduzione di quest’ultimo sarà sempre irto di difficoltà – la mancanza di lavoro e, di converso, di redditi disponibili. “Il reddito reale pro capite dovrebbe ritornare ai livelli pre-crisi solo tra parecchi anni a partire da adesso”, spiegano sempre dal Fmi, evidenziando come questa pessima dinamica sia caduta “in modo sproporzionato sulle generazioni più giovani”.
Filippo Burla