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Hanno fatto un deserto e lo hanno chiamato «libero mercato»

by Filippo Burla
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Deindustrializzazione crisi

C’è chi si riduce a produrre di notte o nel fine settimana, quando la bolletta può essere (un po’) meno pesante. C’è chi delocalizza, non necessariamente verso destinazioni «esotiche» alla ricerca di condizioni di lavoro ai limiti dello sfruttamento: tra sussidi e costi dell’energia sensibilmente più bassi, parecchie realtà del Vecchio continente stanno pensando – quando non l’hanno già fatto – di spostare parte delle proprie attività negli Stati Uniti. E chi, infine, getta la spugna chiudendo direttamente, con la prospettiva di non riaprire in futuro. Lo stato della manifattura europea è tutto qui, in un desolante campionario di criticità che si riassumono in un’unica, terribile parola: deindustrializzazione. O desertificazione industriale, a voler usare un’immagine più forte.

Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di gennaio 2023

Sarebbe facile attribuire la responsabilità di questo vero e proprio disastro economico prossimo venturo alla crisi energetica in corso (in buona parte autoinflitta). La verità è che si tratta solo dell’ennesimo chiodo sul coperchio di una bara nella quale l’industria europea – non tutta, ma quella italiana in particolare – è stata adagiata da tempo. Un chiodo rappresentato, a questo giro, dall’esplosione dei prezzi alla produzione, trascinati sì dall’aumento dei corsi del gas naturale, ma anche dal sostenuto aumento dei costi dei permessi di emissione della CO2, quadruplicati dal 2020 ad oggi in ossequio ai paradigmi dell’ambientalismo più oltranzista di cui l’Unione europea si è fatta interprete. Caricando la manifattura di un ulteriore gravame, come dovesse espiare la colpa di essere agente inquinante quando, in realtà, quella del Vecchio continente è la più pulita al mondo.

Il dramma della deindustrializzazione

Proverbialmente: gettare il bambino con l’acqua sporca. Solo che l’acqua non è particolarmente sporca e il bambino sono i milioni di occupati che, secondo qualcuno, dovrebbero in un batter d’occhio reinventarsi: da tornitore specializzato in anni d’esperienza a programmatore di app – o a fattorino per consegnare il cibo ai residenti in Ztl, molto più plausibilmente – è un attimo.

E così, mentre il resto del globo studia come sostenere le proprie produzioni, dalle parti di Bruxelles si limitano a generiche dichiarazioni d’intenti. Piegati al paradigma ordoliberista, che è poi l’unica politica industriale che la Commissione è in grado di pensare: garantisci il buon funzionamento del libero mercato e il resto verrà da sé. Non è andata – né andrà – esattamente così. Prova ne siano gli…

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