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Nasce Stellantis, muore l’industria italiana dell’auto

by Filippo Burla
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Roma, 17 gen – Ieri la nascita effettiva, domani la quotazione in borsa. Tutto in un fine settimana. L’ultimo della (fu) Fiat italiana. Ottenuto il via libera dall’assemblea degli azionisti ad inizio mese debutta così Stellantis, il gruppo franco-italiano dell’automobile. Più transalpino che altro, a dire la verità.

La fusione che non è una fusione

Solo in Italia si continua, a proposito di Stellantis, a parlare di “fusione”. Nulla di sbagliato, intendiamoci. Il problema sorge quando si aggiunge l’aggettivo “paritaria”. Tecnicamente la è, dato che i principali nuovi azionisti – Exor da un lato, la componente francese (Psa e governo) dall’altro – avranno all’incirca le stesse quote. Le quali, tuttavia, hanno un peso specifico decisamente diverso. Come si legge nel prospetto di quotazione, a pagina 108: “La dirigenza di Fca e Psa ha determinato che, ai fini fiscali, l’acquirente è Peugeot”.

Quando si tratta di politica industriale, il proverbiale chilo di ferro pesa insomma più di un chilo di piume. A Parigi ne sanno qualcosa: chiedere a Fincantieri per conferma. Non poteva andare diversamente con Stellantis, dove i nostri “cugini” nomineranno sin da subito la maggioranza del Cda, esprimendo anche l’amministratore delegato. Agli Agnelli spetterà solo una poco più che simbolica presidenza. Attenzione, però, non si sono fatti fregare: più di 800 milioni la cedola record con la quale la famiglia torinese si congeda di fatto dal settore.

Stellantis non parlerà italiano

Con la nascita di Stellantis prende corpo il quarto gruppo mondiale dell’auto. Sede legale in Olanda (così come la “vecchia” Fca), piedi in Francia, alcuni stabilimenti in Germania – Psa porta in dote Opel – e piedi ben saldi a Parigi. Non serve essere profeti di sventura per capire che la strada dell’addio all’Italia è spianata. Le prove generali si sono avute con il benservito all’indotto italiano sulle piattaforme e con la decisione di produrre in Polonia l’erede della Punto. A noi resteranno qualche stabilimento da salvare e i 6,3 miliardi di garanzia pubblica, chiesti e ovviamente ottenuti in tempo record.

Filippo Burla

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1 commento

Marc 17 Gennaio 2021 - 5:23

Lo sbaglio lo fa chi, pur sapendo l’andazzo, non si organizza e non va a eliminare quel migliaio di bastardi che stanno pilotando tutto quanto: “pandemia” inclusa.

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