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Perché l’Europa sta perdendo la guerra dell’energia. E cosa serve per ribaltare la partita

by Gian Piero Joime
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Per approfondire ulteriormente il tema, si rimanda al fondamentale saggio dell’autore di questo articolo: La guerra dell’energia. Tutto ciò che Greta Thunberg non ti racconterà [IPN]

Roma, 12 mar – La Next Generation Europe – per la grande pandemia, la guerra in Ucraina e la miopia strategica della propria classe dirigente – rischia di restare a terra, con i serbatoi energetici semivuoti. L’Unione Europea è sempre stata fortemente dipendente dall’importazione di energia, soprattutto di petrolio e di gas, da parte di pochi paesi, tra i quali domina la Russia: viene infatti da Mosca oltre un terzo (35%) di tutto il greggio e il 32% del gas importato nel vecchio continente. Nel corso dei prossimi anni i cambiamenti in atto nel sistema energetico mondiale ridimensioneranno e non poco il peso strategico della domanda europea, soprattutto sul fronte delle fonti fossili, dove i flussi commerciali saranno sempre più determinati dalla crescente domanda e dalle dinamiche proprie dei grandi consumatori asiatici. Teoria rafforzata dal fallimento indotto del gasdotto North Stream 2, che avrebbe garantito alla Germania – e all’Europa – miliardi di m3 di gas russo. E dall’alleanza energetica tra Russia e Cina, che ha portato nel 2019 alla costruzione primo gasdotto – Power of Siberia – capace a regime di portare 61 miliardi di m3 di gas all’anno dallo Yakutia, nella Siberia orientale, alla Cina.

La guerra dell’energia 

Inoltre, basti pensare alla recentissima «guerra del petrolio», ovvero alla durissima competizione sul prezzo del greggio nel corso della pandemia, che ha visto l’Europa assistere alla battaglia economica tra i principali paesi produttori. Ed anche alle aggressive posizioni di Russia e Turchia nell’area mediterranea, in particolare per il controllo dei giacimenti in Libia e nelle coste egiziane. E naturalmente alla attuale guerra del gas, anche conseguente al conflitto in Ucraina, con effetti devastanti e di lunga portata sulla società europea. L’Europa quindi sta perdendo il controllo dell’energia sia come produttore che come cliente. E la scelta europea, con il Green Deal, per lo sviluppo delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica appare come una mera strategia difensiva basata sulla leadership culturale dell’energia carbon free. Una sorta di nicchia culturale fondata sul principio della sostenibilità e sulle tecnologie delle rinnovabili. Ma se l’Unione Europea è fortemente dipendente dall’importazione di fonti fossili – così come lo sono tutte le nazioni dell’Unione, tranne la Francia che con il nucleare ha costruito solide basi per l’indipendenza energetica – , allo stesso tempo non detiene le materie prime e le tecnologie dominanti delle fonti rinnovabili, in gran a parte sotto il controllo strategico e industriale asiatico.

Transizione energetica o transizione della dipendenza?

La strategia del Green Deal – scelta più culturale e normativa che industriale – sta portando allo sviluppo di un poderoso impianto regolatorio, con norme ambientali fra le più rigorose al mondo e programmi d’azione che investono tutti i settori. Questo impegno per un’Europa sempre più verde è apprezzabile, ma non può prescindere dall’evidenza che comunque, ancora per molti decenni, le fonti fossili avranno un ruolo determinante per l’approvvigionamento delle energie necessarie alla modernizzazione e allo sviluppo del continente europeo; e che la completa sostituzione delle fonti fossili con le rinnovabili appare più ideologica che realistica: per eolico e fotovoltaico, ovvero le fondamenta energetiche del Green Deal, nonostante la grande crescita tecnologica dei sistemi di accumulo siamo ancora lontani da un sistema ideale, in cui le batterie saranno in grado di assorbire in ogni ora tutto il surplus di generazione ed erogarlo quando necessario, da cui la necessità di un enorme sovradimensionamento della capacità installata rispetto al fabbisogno, con il rischio di levitazione dei costi, di tagli alla produzione in eccesso e di aumento delle difficoltà al raggiungimento dei target ambientali, anche per l’esaurimento delle cosiddette aree idonee. E dall’altra evidenza, altrettanto importante, che se la transizione energetica si realizzerà con innovazioni, sistemi e componenti cinesi, giapponesi, americani, allora si tratterà solo di una transizione della dipendenza, dal petrolio al litio.

Nello scenario attuale della “guerra dell’energia”, l’Unione Europea parte dunque da una situazione di marcata dipendenza, e quindi di insicurezza energetica. Mentre i competitor internazionali avanzano a ritmi serrati per la conquista di tecnologie e materie prime, in Europa si producono diligenti piani pluriennali, con tanta burocrazia continentale e nazionale, tante cabine di regia per la composizione degli interessi pubblici e privati, assai spesso divergenti. Ne emerge una super-struttura burocratica, fiscale e finanziaria che rischia di appesantire il processo decisionale e operativo di Stati membri e di imprese, e di ampliare il divario con i concorrenti globali. Divario già evidente semplicemente osservando la provenienza dei prodotti e delle componenti tecnologiche della filiera del digitale e delle energie fossili e rinnovabili, in grandissima e prevalente parte di origine cinesi e americani.

Leggi anche: Per l’energia serve una terza via ambientale

Perché l’Europa è ferma

Mentre l’Unione Europea redige il Green Deal e predispone la sua potente struttura burocratica, la Cina viaggia velocissima, tanto nella conquista delle miniere africane delle materie prime quanto nella produzione di tecnologie e componenti delle diverse filiere dell’energia e della mobilità elettrica, nonché nell’introduzione di dazi per proteggere l’industria nazionale; senza per questo ridurre l’impegno nel nucleare. Gli Stati Uniti continuano intanto a investire nella conquista di miniere di terre rare e cobalto ovunque nel mondo, nella revisione della supply chain nazionale e nella costante produzione di eco-innovazioni; rafforzandosi inoltre nel gas, nel petrolio e nel nucleare. E la Russia, mentre continua a godere del dominio nel gas e nel petrolio, guarda con sempre più attenzione e concentrazione verso Oriente. E così, a furia di piani e cabine di regia l’intero continente europeo rischia di posizionarsi come un vecchio gigante, dalla potente burocrazia e dai rassicuranti colori dell’arcobaleno, pieno di eco-innovazioni e prodotti della grande transizione digital-ecologica, realizzati in Cina e negli Stati Uniti, ma con incerti serbatoi energetici.

Costruire l’indipendenza energetica

La Nuova Europa dovrebbe ripartire proprio da una rinnovata forza energetica, con una strategia non più solo finalizzata alla costruzione di un impianto normativo green ma soprattutto determinata a costruire l’indipendenza e la sicurezza energetica, favorendo lo sviluppo di un settore industriale a livello continentale, in grado di produrre autonomamente sistemi e componenti di tutta la catena del valore dell’energia. L’obiettivo dovrebbe essere il controllo di tutte le fonti energetiche: diversificando le forniture di gas e petrolio; sviluppando i rigassificatori; ricercando la leadership nella produzione di tecnologie e componenti nel settore delle rinnovabili; intensificando la produzione di energia nucleare.

L’inserimento da parte della Commissione Europea del gas e del nucleare nella cosiddetta tassonomia verde, ovvero degli investimenti considerati sostenibili, sembra già un buon segnale, così come l’annuncio dell’Olanda con l’impegno a realizzare 2 nuovi reattori nei prossimi anni, e della Francia che continuerà l’azione di prolungamento della vita operativa della generazione corrente dei reattori, e che oltre ai sei nuovi EPR, ha definito un piano a lungo termine per altri otto EPR2, per un totale di 22,4 GW.

L’Europa deve assumere un ruolo da protagonista nel sistema energetico mondiale, crescente indipendenza energetica, cultura dell’innovazione, attenzione alla salvaguardia dell’ambiente, sviluppo industriale basato sulle nuove tecnologie, sono gli obiettivi da cogliere senza ulteriori tentennamenti. Il rischio grande, forse fatale, è quello di ridursi a giocare un ruolo sempre più periferico e, alla fine, subalterno.

Gian Piero Joime

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