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PAC 2015: l’illusione di un equilibrio comunitario

by Francesco Pezzuto
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PACRoma, 9 gen – Comprendere quale possa essere il principale punto di debolezza dell’agricoltura italiana non è cosa da poco. Una serie di problematiche convergenti attentano giorno dopo giorno alla sopravvivenza del comparto primario, messo con le spalle al muro da politiche nazionali e comunitarie scellerate, concorrenze sleali dettate da norme non omogenee. Renzi, in primis, con la decisione governativa di tassare i terreni agricoli, creando un meccanismo insensato del decreto che disciplina l’applicazione dell’Imu sulla base dell’altitudine registrata al centro del Comune (prontamente sospeso dal presidente del Tar Lazio, che ne contesta la legittimità riguardo al merito ed al metodo), la nuova Politica Agricola Comune come ulteriore punto interrogativo, a voler essere speranzosi!

La PAC 2014-2020 dovrebbe prevedere un sistema di pagamenti diretti più mirato, più equo e sostenibile, ma tutto ciò fa rima con un sistema decisamente più complicato, cieco alle differenze incolmabili che riguardano la pressione fiscale dei singoli Paesi della Comunità. Il cambiamento è stato notevole e la comprensione dei nuovi meccanismi non è affatto facile. Le risorse europee destinate all’agricoltura per il periodo 2014-2020 ammontano a 408,3 miliardi di euro, di cui 298,4 a favore dei pagamenti diretti, 27 dei quali destinati all’Italia; rispetto alla programmazione precedente, il bilancio agricolo si riduce di oltre il 13% per quanto riguarda il I Pilastro e dell’11% con riferimento allo Sviluppo Rurale. Certamente più complicato l’accesso al pagamento diretto ed il puntiglioso rispetto richiesto dalle componenti attivabili che lo costituiscono: pagamento di base, greening, giovani agricoltori e sostegno accoppiato. Merita un approfondimento il concetto di greening, partendo da un presupposto: chi ha diritto al pagamento di base deve rispettare le pratiche di greening e dunque fare in modo che la propria azienda, in base alla dimensione della stessa, attui una corretta diversificazione delle colture, si adoperi per il mantenimento dei prati permanenti e per la creazione di aree di interesse ecologico. La ratio del requisito è che non importa quale seminativo abbia in coltura l’imprenditore, il coltivatore diretto o il mezzadro, fondamentale è che non si concentri su un’unica coltura anche a costo di lasciare incolti i terreni restanti pur di rispettare la rigida richiesta comunitaria.

PAC2015Ulteriore punto cruciale è la configurazione della Convergenza Interna: l’Italia, seguendo il “modello irlandese” punta ad un avvicinamento progressivo al valore medio nazionale in cinque anni, definendo il valore minimo dei diritti al 2019 pari al 60% della media nazionale ed una perdita massima, per i diritti superiori alla media nazionale, pari al -30% del valore iniziale. Dunque una ridistribuzione di risorse che punta ad un allineamento futuro dei valori per tutti gli agricoltori, in Italia e nel resto della Comunità europea. Giusto, potremmo pensare. Ma è impossibile immaginare un sostanziale equilibrio comunitario di aiuti laddove sono assenti le basi per poterlo attuare; ad esempio, il costo della manodopera italiana oscilla tra i 12 e i 24 euro in base al contratto collettivo nazionale e in altre parti d’Europa non raggiunge nemmeno la metà di queste cifre. Auspicare un sostanziale equilibrio economico agricolo laddove gli ordinamenti applicano una pressione fiscale radicalmente differente è davvero arduo. In sostanza, oltre alle condizioni climatiche instabili che mai come quest’anno hanno caratterizzato la scarsa resa colturale, le incognite legate al sostegno del comparto primario appaiono evidenti sia in ambito nazionale che comunitario, con una speranza residua riposta nei singoli Piani di Sviluppo Rurale regionali, che hanno l’obbligo di rispondere in maniera efficace e concreta alla richiesta dei propri territori.

Camillo Villani Miglietta

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