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Quella francese è davvero una ribellione?

by Filippo Burla
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Michel SapinParigi, 3 ott – La Francia non rispetterà le regole di Maastricht sul pareggio di bilancio. In tempi di austerità e parametri difesi a spada tratta, come fossero l’ultimo dogma di fede rimasto, il rispondere “no” ai piani dacroniani della Comissione Europea può sembrare, in prima battuta, un cambiamento epocale.

La notizia è che, nonostante gli impegni assunti, la legge di stabilità prevede che il deficit di bilancio al tetto massimo del 3% non verrà rispettato né quest’anno, né i successivi. Al più, Parigi scenderà sotto la soglia limite solo nel 2017, con due anni di ritardo rispetto ai programmi iniziali. Il pareggio di bilancio, da parte sua, è rinviato al 2019.

«Non chiederemo ulteriori sforzi ai francesi. Perché il governo adotta la serietà di bilancio per rilanciare il Paese, ma rifiuta l’austerità», ha affermato il ministro delle Finanze Michel Sapin. L’idea è quella di adattare il tasso di riduzione del deficit alle concrete possibilità di condurre in porto l’operazione. «La nostra politica economica non sta cambiando, ma il deficit sarà ridotto più lentamente del previsto a causa delle circostanze economiche», ha chiosato lo stesso ministro.

La mossa del governo Hollande va, tuttavia, contestualizzata. Anzitutto da un punto di vista tecnico: ha ragione Sapin quando sostiene che i processi devono tenere conto delle situazioni economiche generali. E però, non si discosta dal rispetto dei vincoli derivanti dagli accordi europei. Questi verranno comunque rispettati, ma più in là nel tempo. Continuando, nel mentre, a perseguire la linea imposta ed auto-imposta di riduzione della spesa pubblica: solo nel corso del prossimo anno sono infatti previsti tagli per più di 7 miliardi al bilancio dello Stato. Non proprio un cambio di paradigma rispetto a quanto già visto in questi anni.

Va considerato, in secondo luogo, che l’esecutivo francese sta registrando negli ultimi mesi un drastico calo di consensi. I successi del Front National di Marine Le Pen ne sono la dimostrazione. L’uomo “forte” contro l’austerità, il ministro Arnaud Montebourg, è stato messo alla porta a fine agosto, depotenziando così alla radice qualsiasi possibilità di scontro con Bruxelles.

Ecco allora che, più prosaicamente, l’intera questione sembra assumere più i connotati di una operazione di marketing interno alla ricerca della popolarità perduta. La tanto attesa crescita, in tutto ciò, rimane ancora una chimera.

Filippo Burla

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