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Riforma del Mes, gli ambasciatori firmano. Ora tocca ai parlamenti

by Filippo Burla
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mes, europa

Roma, 27 gen – A meno di due mesi dal voto favorevole del parlamento (con inversione a “U” da parte dei pentastellati) che aveva dato il via libera all’accordo politico in sede di Consiglio Europeo ad inizio dicembre, oggi gli ambasciatori delle 19 nazioni dell’eurozona hanno firmato la riforma del Mes. La sottoscrizione da parte dei diplomatici è avvenuta nel corso di una riunione del Coreper, il Comitato dei rappresentanti permanenti.

Riforma del Mes: ora le ratifiche nazionali

Concluso l’iter in sede comunitaria, ora la palla passa alle assise nazionali. Saranno infatti i parlamenti dei 19 Stati dell’area euro a doversi esprimere, ognuno secondo le proprie modalità. Percorso che potrebbe richiedere anche mesi, in virtù del fatto che in alcuni Paesi si andrà al voto. Anzitutto in Olanda, ma non è escluso che pure in Italia si possa tornare alle urne. Con l’effetto di dilatare i tempi oltre quel gennaio 2022 che, stando alle previsioni, doveva sancire l’avvio dell’operatività del Meccanismo rinnovato.

Nello specifico, l’approvazione definitiva alla riforma del Mes segue le procedure previste per la ratifica dei trattati internazionali. Quello istitutivo (del 2012) lo è a tutti gli effetti. Ne consegue – sia detto per inciso – che anche in caso di recesso dall’Ue rimarrebbe pienamente in vigore. Camera e Senato sono così chiamate ad autorizzare la sottoscrizione tramite legge ordinaria, dunque a maggioranza semplice.

Ecco come si può fermare l’iter

Se l’attuale composizione degli emicicli di Montecitorio e Palazzo Madama non sembra – ma sono ancora da vedersi gli equilibri che potrebbe dare vita al Conte ter – generare particolari grattacapi, in caso di voto anticipato non è detto che l’antifona rimanga la stessa.

La posizione di Lega e Fratelli d’Italia, dati dai sondaggi a percentuali sensibilmente superiori rispetto alla loro rappresentanza parlamentare corrente, è nota e ci parla di un secco “No”. I motivi sono noti: il rischio che non sia più il governo a dover pietire l’intervento del Fondo ma sia esso stesso ad entrare a spinta, insieme al malcelato sogno (nordeuropeo) di ristrutturare il nostro debito, operazione che la riforma Mes rende molto più agevole rispetto al passato.

Non è insomma scontato che dopo un eventuale voto vi sia ancora una maggioranza favorevole. Se i due partiti tenessero il punto, anche e soprattutto in chiave di eventuali coalizioni, la riforma naufragherebbe dato che per essere portata a compimento ha bisogno del voto unanime di tutti e 19 gli Stati aderenti al Trattato.

Filippo Burla

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