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Sorpresa: l’economia della Cina non cresce più

by Francesco Meneguzzo
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china-economy-crisisPechino, 12 apr – Nonostante la scoraggiante difficoltà a reperire dati attendibili e soprattutto sufficientemente recenti, tutti gli indicatori più significativi relativi all’economia reale puntano in una sola direzione: l’economia cinese si sta fermando.

Questa è in particolare l’opinione degli analisti di Bloomberg, appena riportata dal portale di analisi economiche e finanziarie ZeroHedge.

Secondo l’analista Kenneth Hoffman di Bloomberg, in Cina “le cose stanno andando molto peggio di quanto si immagini”. Hoffman ha recentemente visitato il gigante asiatico per valutare le prospettive della domanda di metalli, che rappresentano una delle componenti principali del commercio mondiale e un indicatore sensibilissimo dello stato di un’economia.

Non si tratta, in realtà, di una vera e propria sorpresa, in quanto la caduta della domanda cinese è stata un fattore fondamentale del collasso dei prezzi dei minerali ferrosi, che nei giorni scorsi ha provocato la completa sospensione della produzione da parte della quarta compagnia mineraria australiana.

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Declino del consumo di acciaio in Cina

Secondo Bloomberg, la domanda cinese per le materie prime delle acciaierie non si riprenderà tanto presto: i mercati cinesi dell’acciaio e dei metalli, un barometro della seconda economia del mondo, sono “messi molto peggio del previsto”: gru inattive, cantieri vuoti o lasciati a metà, edifici abbandonati in parecchie città, e la conferma da parte degli amministratori di numerose grandi aziende.

La domanda cinese di metalli sta precipitando”, scrive Hoffman, che aggiunge: “La domanda si sta deteriorando anche perché il governo rallenta la costruzione delle opere e infrastrutture pubbliche e sta puntando a un’economia di consumo [interno, ndr]”.

I prezzi delle commodity, dai metalli ferrosi al carbone, stanno collassando anche perché la leadership cinese sta tentando di indirizzare l’economia dagli investimenti immobiliari basati sul debito e dalla produzione industriale, verso i servizi e il consumo interno. Allo stesso tempo, il presidente Xi Jinping sta accelerando gli sforzi per combattere l’inquinamento dell’aria – arrivato a livelli inimmaginabili nelle città cinesi – con questo schiacciando ulteriormente l’industria la cui fonte energetica principale rimane il carbone.

Sussiste il timore molto forte che tutto questo stia portando a una contrazione di lunga durata, come evidenziano i dati o anche peggio”, conclude l’analista di Bloomberg.

I dati, quindi: gli ordinativi dell’industria sono scesi, a febbraio, al minimo da 11 mesi, avendo perso oltre il 10% dal 2010, mentre il volume del trasporto ferroviario di merci, mezzo principale nello sconfinato territorio cinese, è crollato del 9,1% in un anno.

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Aumento dei crediti in sofferenza in Cina

Il numero di crediti in sofferenza è aumentato dell’80% dal 2011, portando le più grandi banche del paese a tagliare i prestiti ai produttori, alla faccia della stessa trasformazione economica citata da Bloomberg.

Gli stessi interventi di riduzione dello smog, come l’esportazione del problema lontano dalle città più popolose, potrebbe costare fino al 40% di declino della produzione industriale.

In considerazione di tutto questo, non c’è da meravigliarsi se Credit Suisse viene fuori con una nota ufficiale che conferma prospettive quasi disastrose: “Abbiamo apportato modifiche fondamentali alla nostra analisi della domanda per i metalli ferrosi. In considerazione dei prezzi regionali dell’acciaio notevolmente più deboli, assumiamo ora una riduzione delle esportazioni di acciaio cinese fino a tutto il 2018. Dato il debole scenario interno per il consumo di acciaio, questo risulta in un declino netto della relativa produzione nei prossimi tre anni”.

Per concludere, altri indicatori sensibili confermano pienamente l’analisi sopra esposta.

I primi due, di carattere energetico, sono ancora interni all’economia cinese: la crescita media del consumo elettrico, aggiornato a metà 2014, è in declino dal 2010, attestandosi intorno al 3% l’anno (nel 2010 raggiungeva il 20%) e probabilmente oggi ancora minore e forse perfino nulla. La crescita del consumo di carbone è in declino fin dai primi anni di questo secolo e si è azzerata nella prima metà del 2014, oggi essendo probabilmente negativa.

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Baltic Dry Index (BDI), indice del commercio marittimo mondiale

Il terzo indice, pure interno, è di carattere demografico: in seguito alle politiche di denatalità degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, la fertilità è scesa a livelli insostenibilmente bassi tanto che il numero di lavoratori cinesi ha iniziato a diminuire poco prima del 2010 e questa tendenza continua a ritmi accelerati, ponendo un gravissimo problema di sostenibilità per l’intera economia del paese asiatico.

L’ultimo ulteriore indice considerato è globale e riguarda il volume del commercio marittimo  la cui importanza nel contesto di questo articolo deriva dal peso dell’economia cinese nei trasporti commerciali globali.

Ebbene, il Baltic Dry Index (BDI), che oltre ad essere particolarmente sintetico e significativo ha il pregio di essere aggiornato giorno per giorno, si è stabilmente collocato ai valori minimi trentennali, cioè dal 1985, anch’esso seguendo una tendenza discendente sostenuta dal 2010.

Francesco Meneguzzo

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