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Lo Stato torni a fare lo Stato: è ora di nazionalizzare (definitivamente) Mps

by Filippo Burla
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Mps, banca

Roma, 25 ott – Dopo la rottura delle trattative tra il ministero dell’Economia e Unicredit si fa sempre più buio attorno al futuro di Mps. L’accordo sembrava ad un passo, ma non per questo era necessariamente una buona notizia. L’istituto milanese chiedeva infatti una dote superiore agli 8 miliardi, oltre a mettere sul piatto una cura dimagrante fatta di 7mila dipendenti in meno. Condizioni che via XX Settembre ha ritenuto, almeno all’apparenza, irricevibili. Dubitiamo che ciò sia accaduto per un qualche scatto d’orgoglio, anzi. Rimane il fatto che ora, per il Monte, una qualche via d’uscita bisogna trovarla.

Così la doppia recessione ha affossato il nostro sistema bancario

Facciamo un passo indietro e torniamo al 2008. E’ in quell’anno che la crisi finanziaria si abbatte sull’Europa, facendo tracollare il Pil. Durerà anche l’anno successivo, con un sordo -5,3%. Mentre il resto del vecchio continente recupera, l’austerità imposta da Bruxelles per mano di Mario Monti ci fa ritornare in territorio negativo: -3% nel 2012, -1,8% nel 2013. Nel 2020 arriva la pandemia: terza recessione nell’arco di poco più di un decennio.

Anche il più onesto e specchiato banchiere di questo mondo, date le circostanze, si sarebbe trovato in difficoltà. In periodi di crisi i bilanci si deteriorano perché aumento fisiologicamente le insolvenze, le aziende chiudono e non rientrano dai fidi, i crediti diventano inesigibili. Una spirale senza fine che, dalle nostri parti, si è tradotta nel cosiddetto “bail-in” orchestrato dal governo Renzi che sacrifica azionisti, obbligazionisti subordinati e correntisti di Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara. Tutto perché l’Ue aveva, pochi mesi prima, impedito al Fondo interbancario di tutela dei depositi di intervenire a sostegno di Tercas, configurando ciò come indebito aiuto di Stato. La Corte di Giustizia, cinque anni dopo, condannerà Bruxelles per quell’improvvida decisione. Con tutta calma.

Nel frattempo, il patrimonio più importante dell’intero sistema bancario ne usciva frantumato. Non parliamo di attivi, né di qualcosa tangibile. Parliamo della fiducia, letteralmente crollata ai minimi storici. Figuriamoci nel caso Mps, che per di più viveva di rapporti incestuosi con la sinistra plasticamente rappresentati dall’elenco dei grandi debitori della banca (dall’ex “tessera numero 1 del Pd” Carlo De Benedetti al variegato mondo delle cooperative). Nell’impossibilità di azzerarla – altro che spremuta di sangue delle quattro popolari, anche se azionisti e obbligazionisti sono comunque stati coinvolti nell’operazione – tra 2017 e 2018 l’istituto viene nazionalizzato, con quasi il 70% delle quote che finiscono in mano al Mef.

Fregarsene dell’Ue e mantenere il controllo pubblico di Mps

Qui si apre un’ulteriore partita, sempre con l’Unione. La partecipazione viene infatti presentata come temporanea, volta solo a risanare i conti e con l’esplicito impegno nei confronti di Bruxelles a dismetterla: ultima data utile per perfezionare l’operazione il 31 dicembre di quest’anno. Peccato che, al netto delle pulizie di bilancio, gli obiettivi non siano tra loro compatibili. Com’è possibile pensare che una banca possa tornare alla redditività quando negli ultimi anni è stata gestita solo nell’ottica di cederla? Mps, dal 2017 ad oggi, è una patata bollente che i governi si rimpallano ad ogni cerimonia della campanella senza che nessuno – alcuna eccezione – abbia mai pensato ad un qualche piano strategico per rimetterla davvero in piedi. Per permetterle di tornare, detta in altre parole, a fare la banca.

Il risultato è che adesso la situazione si fa ancora più ingarbugliata. Abbiamo perso anni per andare dietro alle fisime “di mercato” dell’Ue, nel frattempo Mps ha vissuto più momenti di difficoltà che altro. Ci resta il cerino in mano e non sappiamo che farcene. A meno che da Palazzo Chigi non prendano l’unica decisione sensata: mantenere la maggioranza, proseguendo nel piano “stand alone” elaborato all’inizio di quest’anno, iniettando tutti i miliardi (almeno 2,5) che servono e rispondendo picche a qualsiasi rilievo che vorrà muovere la Commissione. Avremmo finalmente una banca pubblica. O meglio: torneremmo ad averla, con tutto ciò che questo comporta. A partire dalla possibilità di utilizzarla come strumento di politica economica. Lo fa la Germania con Kfw, che a differenza della nostra Cdp controlla però un istituto di credito (Kfw Ipex bank) peraltro esentato dalla vigilanza Bce, perché non dovremmo farlo noi?

Filippo Burla

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1 commento

Prof. Massimo Sconvolto 3 Novembre 2021 - 9:43

Lo Stato dovrebbe anche tornare a fare il banchiere centrale e stampare moneta.

Magari se gli diamo una scollatina aprendo conti in #BancaMaterassi
https://massimosconvolto.wordpress.com/2016/12/02/banca-materassi/

Magari si sveglia 😀

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