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Svenditalia: il prosciutto San Daniele finisce in mani francesi

by Salvatore Recupero
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Roma, 6 mar – Il prosciutto San Daniele era uno dei gioielli del Made in Italy. Oggi, però non è più così. Il gruppo agroalimentare transalpino CA Animation, infatti, ha reso noto di aver firmato l’acquisizione di una quota di maggioranza del prosciuttificio DOK Dall’Ava Spa con sede a San Daniele del Friuli. L’Italia così perde un altro marchio storico. Ormai però a queste notizie ci siamo abituati. Infatti, i media hanno dedicato poche righe a questo fatto. È certamente molto più importante il congresso del Partito Democratico. Tornando all’oggetto del contendere, vediamo quali sono i protagonisti di questa vicenda. Il prosciutto San Daniele è prodotto dal prosciuttificio DOK Dall’Ava, una società nata negli anni ottanta che produce circa trentamila prosciutti San Daniele d.o.p., con un fatturato da circa dieci milioni di euro l’anno.

In base all’accordo di giovedì scorso la società francese avrà la maggioranza nel Cda dell’azienda friulana. E veniamo ora ai cugini d’Oltralpe. La Ca Animation, controllata dalla famiglia d’Espous, fattura quattrocento milioni di euro e conta millenovecento dipendenti, dodici stabilimenti di produzione ed esporta i propri prodotti in quaranta paesi attraverso dodici mila punti vendita tra gastronomie e macellerie. Non solo, dunque, l’italiana DOK Dall’Ava, ma i principali marchi di gastronomia francese d’alta gamma di proprietà del gruppo controllato dalla famiglia d’Espous sono: Auvernou, Frais Devant, Jean Daudignac, Jean Larnaudie, Loste, Noixfine, Occitane, Réserve Loste e Sapresti.  Dopo l’accordo del due marzo la famiglia Dall’Ava continuerà a essere azionista dell’azienda e a gestirla con l’amministratore delegato Carlo Dall’Ava. Il problema, però, è che il gruppo sarà controllato dai francesi. I titolari del prosciuttificio friulano si arrampicano sugli specchi per dimostrare che questa scelta è stata fatta per il bene del gruppo.

Dall’Ava, ceo dell’omonimo gruppo, spiega così i motivi di questa scelta: “Siamo un’azienda di famiglia ai massimi livelli di qualità, presente in ben 22 Paesi esteri, tra cui gli Stati Uniti. Abbiamo creato un learning center che è un’eccellenza mondiale nel suo campo, ma per far crescere ulteriormente DOK Dall’Ava avevamo bisogno di un socio leader del settore a livello internazionale. Dopo un’approfondita ricerca, l’abbiamo individuato nella famiglia d’Espous con cui condividiamo valori, cultura imprenditoriale famigliare e obiettivi. DOK Dall’Ava diventerà un’importante piattaforma del gruppo CA Animation per il suo sviluppo in Italia, ma anche come base negli Usa dove non è ancora presente”. Vendiamo agli stranieri, per rafforzare il made in Italy. Il ragionamento non fa una grinza. È come se una squadra di calcio, per rafforzarsi vendesse i propri giocatori migliori alla sua diretta concorrente.

Il problema però non riguarda solo il signor Dall’Ava. Infatti, queste argomentazioni vengono dette e ripetute come un mantra tutte le volte che l’Italia svende qualche gioiello di famiglia. Questo schema, però, non funziona: i risultati sono sugli occhi di tutti. La multinazionale anglo-olandese Unilever ha acquistato la Algida, la Sorbetteria Ranieri (chiusa da dieci anni), il Riso Flora, la Bertolli e la Santa Rosa, che però nel 2011 è tornata italiana grazie all’acquisto da parte della Valsoia. Molti anche gli acquisti della Kraft (Invernizzi, Negroni, Simmenthal, Splendid, Saiwa) e della Nestlè (Buitoni, Perugina, Sasso, Gelati Motta, e Alemagna, che però nel 2009 torna italiana con la Bauli).  Nel settore degli elettrodomestici abbiamo perso la Zanussi. Nel settore della moda abbiamo perso diversi marchi. Facciamo qualche esempio: Bulgari, Fiorucci, Mila Schon, Conbipel, Sergio Tacchini etc. Se è vero che  l’Italia deve ripartire dalle quattro F (Food, fashion, furniture, Ferrari) siamo proprio messi male.

Salvatore Recupero

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2 comments

Nerio 9 Marzo 2017 - 4:08

Qualcuno prima o poi pagherà caro per questa svendita “spontanea” che continua da vent’anni.

E’ chiaro che c’è una strategia in questa caccia indiscriminata al marchio italiano e che in questa strategia noi facciamo la parte dei fagiani. Gli imprenditori cedono quote agli stranieri, perché negli ambienti dell’alta finanza (a noi quasi del tutto ignoti) circolano voci molto preoccupanti sul destino da colonia mediterranea franco-tedesca che pesa sulla povera Patria. Forse, dopo tante dolorose rinunce, sarebbe giunto il momento di invertire le parti per CONTRATTACCARE. L’Italia deve ripartire dall’Industria, non dalle “F”. Esportare o morire. Riconquistare la Sovranità e lo Stato è una questione di pura sopravvivenza.

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Nerio 9 Marzo 2017 - 4:29

E’ chiaro che c’è una strategia antinazionale in atto, alla quale molti dei nostri imprenditori partecipano compiaciuti. Prima o poi qualcuno pagherà cara questa svendita ai colonizzatori franco-tedeschi. Dopo tanti bocconi amarissimi non sarebbe il caso di CONTRATTACCARE?! Bisogna ripartire dall’Industria, non dalle quattro F. Esportare o morire.

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