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Usura: secondo Confcommercio sono 40.000 le imprese a rischio

by Salvatore Recupero
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Roma, 11 ott – “Sono circa 40mila le imprese seriamente minacciate dall’usura, un fenomeno in crescita soprattutto nel Mezzogiorno e nel comparto turistico-ricettivo”. Questo è il dato che emerge da un’analisi dell’Ufficio Studi Confcommercio sulla percezione dell’usura tra gli operatori del settore. Esistono, dunque, in Italia migliaia di imprenditori che sono costretti a ricorrere agli strozzini pur di mantenere in vita la loro attività. Per capire i motivi di questa scelta estrema, analizziamo attentamente questo rapporto di Confcommercio.

Il brusco calo del fatturato

Lo “spettro” dell’usura delle imprese non è certo una novità. Nei mesi del lockdown il rischio di finire in mano agli strozzini è notevolmente cresciuto. Il 22 maggio scorso lo sportello Antiusura di Confcommercio Roma denunciava che: “Il rischio usura tra marzo e aprile è aumentato del 30% e a maggio potrebbe toccare il +50%, per non parlare della possibilità che alcune attività siano cedute alla criminalità organizzata”. Nel resto d’Italia la situazione non era diversa da quella della Capitale.

Il Cahiers de doléances dei commercianti trova riscontro nel report della Fondazione studi Consulenti del lavoro, che ha preso in esame il periodo tra giugno 2019 e giugno 2020. Questa ricerca dimostra come: “La crisi innescata dalla pandemia di coronavirus ha avuto un impatto fortemente differenziato a livello settoriale. Sul fronte del commercio ha visto ridurre la base occupazionale di 191 mila unità (-5,8%), per effetto principalmente del calo degli esercenti (è risultato determinante in tale settore il crollo del lavoro autonomo). Una crisi, sottolineano i consulenti, che ha impattato trasversalmente sia sul commercio al dettaglio, dove l’occupazione è crollata del 6,7% (138 mila posti di lavoro in meno), che all’ingrosso, dove il calo è stato del 6,1%, coinvolgendo un numero di addetti inferiore (51 mila)”.  Non vanno meglio le cose nel settore legato al turismo. “La flessione degli occupati- spiega la Fondazione- è stata di 246 mila unità (-16,1%), di cui 158 mila nei servizi di ristorazione (-13%) e 88 mila nel settore degli alloggi: quest’ultimo ha visto crollare la base occupazionale del 28,3%”. Questa è la foto della situazione che stiamo vivendo. Ma le cause non vanno ricercate solo nel lockdown dovuto alla pandemia.

Il peso del fisco e la stretta creditizia

Tornando all’analisi svolta da Confcommercio si evince che i maggiori problemi per le imprese del terziario sono rappresentati dalla perdita di fatturato. Ma non è solo questo il problema. In altre nazioni negli Usa come in Gran Bretagna per le imprese costrette alla “serrata del lockdown” è stato facile ottenere un congruo rimborso. Purtroppo non possiamo dire la stessa cosa in Italia. I soldi sono arrivati tardi e dopo un giro a dir poco tortuoso. La pubblica amministrazione ha funzionato male e questo ha impattato pesantemente sulle piccole aziende.

Come se non bastasse l’Erario bussa di nuovo alla porta. Ripartono le notifiche delle cartelle esattoriali. Dal prossimo 16 ottobre 2020 è infatti previsto lo sblocco delle attività di riscossione da parte di Agenzia delle entrate ed enti locali creditori. Ci si attende, secondo le stime, una valanga di cartelle esattoriali e notifiche pari a circa 9 milioni di avvisi di pagamento. Fra questi, la ripresa del pagamento delle rate sospese, ma anche le nuove azioni esecutive compresi i pignoramenti su stipendi e pensioni.

Insomma, siamo in piena crisi di liquidità. Gli imprenditori del terziario, però, hanno bisogno di soldi per adattare negozi, bar e ristoranti alle norme anti Covid. Le banche non vogliono scucire un euro, nonostante la patetica moral suasion del premier Conte. A chi, dunque, i commerciati chiederanno i soldi per andare avanti? La risposta potrebbe essere (anzi già lo è) l’usura.

“Fare rete” per battere l’usura

Quello degli strozzini è l’ultimo portone a cui bussare prima di chiudere bottega. È ovvio che si tratta di una scelta controproducente che si ritorce sempre contro chi chiede il prestito. La disperazione porta a fare degli sbagli. Il tutto nasce dalla solitudine dell’imprenditore e dalla mancanza di fiducia nelle istituzioni. Tuttavia si può costruire un’alternativa che passa dal basso. “Per gli imprenditori in difficoltà è più facile cadere nella trappola dell’usura e nelle mani della criminalità, come sembrano confermare anche le segnalazioni che ci provengono dai territori. È, dunque, essenziale creare una rete di protezione eccezionale del sistema imprenditoriale”. Questo è quanto auspica Anna Lapini, componente della giunta di Confcommercio incaricata per la legalità e la sicurezza. Una nuova funzione dell’associazionismo è al momento l’unico modo per rafforzare le Pmi che continuano a rappresentare il tessuto connettivo della nostra economia.

Salvatore Recupero

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