Roma, 16 feb – Unicredit Italia prevede, tra il 2019 e 2023, ben seimila esuberi e la chiusura di 450 filiali. La notizia non stupisce nessuno: questo progetto era già stato anticipato lo scorso dicembre. In fondo se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno è andata pure bene. Il 22 luglio scorso Bloomberg prevedeva un taglio di 10mila unità. Due giorni dopo l’amministratore delegato della banca Jean Pierre Mustier scrisse una lettera a tutti i dipendenti per rassicurali. Oggi scopriamo che l’agenzia di stampa americana aveva previsto l’orientamento di Piazza Gae Aulenti.
Jean Pierre Mustier, il “banchiere scrivano”
Mustier è un grafomane. Come abbiamo visto, il banchiere francese ama intrattenere rapporti epistolari con i suoi dipendenti. Nell’ultima lettera ha annunciato la realizzazione di una vasta serie di misure e di ottimizzazione dei processi di lavoro che porterà a un eccesso della capacità produttiva per circa 6mila bancari “full time equivalent”: una fantastica supercazzola per dire che metterà alla porta migliaia di lavoratori.
L’operazione, però, avverrà in modo “socialmente responsabile”. Tradotto: i costi verranno scaricati sulle spalle della collettività sotto forma di prepensionamenti, cassa integrazione o contratti di solidarietà. Vedremo come. Tornado alla missiva, quest’ultima avvia la procedura che prevede 50 giorni per raggiungere un accordo. Pertanto, è indispensabile capire i motivi che hanno spinto Unicredit ad annunciare queste misure draconiane.
La strategia di Unicredit: “Team 23”
Nello spiegare i motivi dei tagli del personale, Unicredit ha evidenziato che si è assistito ad “una riduzione dell’operatività allo sportello (versamenti, bonifici, imposte, pagamenti e prelievi) di 20,3 milioni di operazioni (-55% rispetto ai 36,8 milioni di operazioni disposte nel 2016) registrando negli ultimi 12 mesi oltre 300 milioni di transazioni disposte su canali evoluti”. Nel dettaglio poi “i versamenti retail allo sportello si sono ridotti del 64% rispetto ai 10,5 milioni del 2016″ e quelli corporate hanno segnato una flessione del 70%. A fronte di questo c’è un utilizzo “sempre maggiore degli Atm evoluti negli ultimi 12 mesi con oltre 33,5 milioni di versamenti”. I prelievi agli sportelli hanno segnato un -53% negli ultimi 12 mesi mentre, nello stesso arco temporale, la riduzione dei bonifici allo sportello è stata del 43%. Insomma, pare che gli italiani per gestire i propri risparmi prediligano l’intelligenza artificiale.
Per venire incontro a correntisti ed azionisti Unicredit ha dato il via al piano Team 23. Un progetto che fa leva su cinque aree principali: la semplificazione e razionalizzazione delle strutture di governance, la revisione dei modelli di servizio, la chiusura di 450 filiali e la migrazione delle transazioni sui canali evoluti e sul self service, la revisione del modello operativo, e infine la dematerializzazione e digitalizzazione della documentazione cartacea. Inizia una stagione nuova per il gruppo di Piazza Gae Aulenti. Per questo Mustier ha dato il via alla “potatura”.
I dipendenti, però, non ci tengono ad essere trattati come rami secchi anche se l’azienda ha cercato di rassicurare i propri dipendenti. Nella famosa missiva, come è stato detto, si legge che il gruppo cercherà di trovare “soluzioni condivise e socialmente sostenibili”. I primi, dunque, ad essere messi alla porta saranno quelli che maturano “il requisito pensionistico entro il 31 dicembre 2023 (con diritto alla pensione fino all’1 gennaio 2024 compreso)”. Se questo non dovesse bastare si valuterà l’attuazione dello strumento del fondo di solidarietà di settore. In pratica, al posto del licenziamento scatterà un maxi piano di prepensionamenti.
La risposta dei sindacati
Nonostante le “buone intenzioni” di Unicredit, la reazione dei sindacati è stata durissima. I rappresentanti dei lavoratori accusano l’azienda di fare utili sulla pelle dei lavoratori e chiedono un nuovo bancario assunto o stabilizzato ogni 2 che escono. Tuttavia, il tema cruciale è un altro: questi esuberi non solo non sono necessari ma rischiano di essere dannosi. Lando Maria Sileoni, segretario del sindacato autonomo Fabi, ha spiegato il perché.
Iniziamo dai costi. Sileoni, ricorda che “a fine 2019 i costi totali del gruppo si sono attestati a 9,9 miliardi di euro, assai meno rispetto all’obiettivo prefissato a 10,6 miliardi. Vuol dire che il gruppo ha tagliato 700 milioni di troppo, di fatto senza motivo”. Il luogo comune che vede il bancario italiano poco incline al lavoro è smentito dai fatti: “Unicredit – sottolinea il sindacalista – vuole concentrare il 70% dei tagli al personale e alle filiali in Italia, che però è l’area dove il gruppo ottiene più profitti a livello europeo. Il cost income di Unicredit oggi è al 52,8%, tra i migliori in Europa. Il costo del lavoro degli 86.000 dipendenti attuali è di 6 miliardi di euro, pari a solo il 30% dei ricavi, attesi poco sotto i 20 miliardi nel 2019”. In breve, il progetto non è affatto finalizzato alla modernizzazione del gruppo. L’ipotesi più probabile è che voglia disfarsi dei propri dipendenti a tempo indeterminato per esternalizzare i servizi offerti alla clientela. I prossimi cinquanta giorni saranno decisivi. Ancora è troppo presto per fare previsioni. Tuttavia, le premesse non fanno presagire niente di buono.
Salvatore Recupero