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Siria, altri 400 addestratori Usa per i ribelli. Errare è umano ma…

by Alberto Palladino
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Damasco, 18 gen – Barack Obama ci riprova. Dopo che il Congresso degli Stati Uniti d’America aveva bocciato la sua richiesta di altri 500 milioni di dollari per sostenere i così detti ribelli moderati siriani, il Pentagono, fa sapere che invierà almeno 400 addestratori militari dell’esercito per preparare e addestrare sul campo i guerriglieri anti Assad.

L’obiettivo sembra quello di rilanciare l’aliquota “dem” della guerriglia siriana, quella più istituzionalizzabile, quella che tende l’orecchio ai consigli d’oltre atlantico e anche però quella che fino ad ora è rimasta schiacciata tra l’incontenibile avanzata del califfato Isis e dei Quaedisti del Fronte Al-Nusra.

Syria-rebels-map-ISIS-e1403654128699-600x400La decisione ha suscitato forti perplessità tanto nella politica americana che tra alcuni analisti militari, che ricordano come dall’inizio della rivoluzione le file dei ribelli moderati dell’Els, l’Esercito libero siriano, abbiano subito una continua emorragia verso le più radicali, e più battagliere formazioni della concorrenza.

Agli occhi degli insorti la condotta dell’Esl a guida Usa appare, infatti, troppo timida rispetto alla devastante avanzata Isis o alla tenacia jhiadista del Fronte al-Nustra, tanto che il confine tra ribellione democratica e jhiad terrorista, in Siria più che altrove, sembra oramai estremamente labile.

Per provare ad arginare tutto questo l’amministrazione statunitense ha deciso che sottoporrà i candidati per l’addestramento a rigorosi test psico-attitudinali per testarne l’idoneità.

Le zone o le nazioni che dovranno ospitare tali centri di addestramento ancora non si conoscono, ma si sa che già Turchia, Arabia Saudita e Giordania si sono offerte volontarie.

Da tempo, oramai, la volontà americana è quella di rilanciare la propria azione in Siria appaltata al comitato di liberazione, chiamato Consiglio nazionale siriano con sede a Istanbul e quindi di riorganizzare le file dei ribelli moderati. Un processo di lottizzazione della rivoluzione siriana in cui già tirano i fili paesi vicini della Siria come Turchia, Israele e Arabia in primis. terrorista-islamicop-uccide-soldato-iracheno

Il caso turco è il più singolare: dagli albori della sommossa siriana la Turchia ha sempre abilmente giocato il doppio ruolo di ponte istituzionale con l’Europa e gli Usa per le relazioni diplomatiche con le fazioni ribelli, lasciando però anche mano libera alle formazioni Isis di andare e venire dai suoi valichi di frontiera in cui passano armi mezzi e denari per la jhiad.

Si pensi che le due “cooperanti” italiane rapite in Siria e poi liberate, sembra, dopo l’ingente riscatto pagato dai contribuenti, siano transitate proprio da Istanbul prima di raggiungere i campi dei ribelli islamici supportati dalla loro organizzazione.

E non solo: come rivelato dal giornalista Seymour Hersh proprio in Turchia passerebbe la cosiddetta “Rat line”, un canale di approvvigionamento creato dalla Cia, MI6 britannico e servizi segreti turchi che partiva dalla Libia e arrivava nelle aree della rivolta anti Assad. Ad oggi però sembra che il controllo del traffico di questo viadotto della guerriglia sia in mano proprio a Isis che ha scalzato i “moderati” di Obama e che ora ne gode i benefici.

Si apre quindi una nuova fase per l’egemonia della rivoluzione anti-siriana, che ci appare sempre più come una corsa alla leadership delle fazioni in lotta da parte di attori stranieri.

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Col. Riad al-Asaad capo del libero esercito siriano.

La nuova partita per ospitate i 400 “liberatori” di Obama è apertissima resterà solo da capire come, sul campo, potranno convivere e combattere insieme ribelli moderati made in Usa, quaedisti di Al-Nusra e integralisti del Califfato Isis.

Una vera torre di babele con guerriglieri venuti da più di ottanta paesi in nome della jhiad, della libertà o di una paga, che leggono il Corano dei sauditi, sparano con fucili americani e si fanno curare in Giordania e Israele, per una rivoluzione dei tempi moderni a cavallo tra mondialismo e terrore.

Alberto Palladino

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