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Il New York Times lo ammette: gli immigrati ci servono come schiavi

by Adriano Scianca
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Roma, 14 ago – L’immigrazione serve alle élite finanziarie per un motivo molto semplice: lo schiavismo. Sentirla dire proprio così, papale papale, è cosa che capita di rado. Meglio buttarla sull’umanitario. A volte, tuttavia, tra le maglie della retorica qualcosa filtra, soprattutto in paesi come gli Usa, dove tutti, da destra a sinistra, lodano acriticamente le acque gelide del calcolo egoistico. È il caso di un articolo in difesa dell’immigrazione recentemente uscito sulla Bibbia liberal, ovvero il New York Times, a firma Eduardo Porter. L’autore esordisce così: “Diciamo chiaramente: gli Stati Uniti hanno bisogno di più immigrati con scarse qualifiche”. Non si parla di immigrati in senso generico, all’insegna del “nessuno uomo è illegale” eccetera eccetera. No, gli immigrati da far entrare hanno un profilo sociale e professionale ben preciso. Devono essere dei proletari senza titoli di studio, gente disposta a tutto, senza tante pretese.
“Otto tra le 15 occupazioni che si prevede possano sperimentare la crescita più veloce tra il 2014 e il 2024 – gli aiutanti per la cura della persona e della casa, i lavoratori nel settore della preparazione del cibo, i bidelli e simili – non richiedono alcuna scolarizzazione”, spiega l’editorialista del New York Times. “Tra dieci anni ci saranno molte persone anziane con relativamente pochi lavoratori poco qualificati per rifare i loro letti”, spiega David Card, professore di economia presso l’Università di Berkeley, citato nell’articolo. “Questo sarà un problema enorme”, aggiunge. Come cambiano i tempi, una volta gli schiavi costruivano le piramidi, oggi chi detiene il potere ha pretese meno megalomani, gli basta che qualcuno con l’anello al naso si occupi dei suoi genitori anziani. E le obiezioni sollevate da molti, fra cui lo stesso presidente americano Donald Trump, sul fatto che gli immigrati abbassino i salari degli americani creando una forza lavoro disposta a tutto? Porter ne parla ma, spiega, è un ragionamento miope: infatti, “gli immigrati meno qualificati sono anche consumatori di beni e servizi americani; il loro lavoro a basso costo aumenta la produzione economica e fa calare anche i prezzi”. Inoltre, “i loro figli tenderanno ad avere più competenze”. A quel punto, tuttavia, smetteranno di badare agli americani allettati e cercheranno una professione più gratificante. E chi svolgerà le mansioni mal retribuite? Ma è ovvio, sempre nuovi schiavi, sempre nuovi immigrati. È una spirale discendente di cui non si riesce a vedere il fondo.
Ma il mondo visto dal New York Times funziona secondo virtuosi meccanismi spontanei. La “mano invisibile” di Adam Smith, negli Usa, non è mai andata in pensione. Gli immigrati, spiega l’articolo, non conoscono l’inglese. Quindi, almeno all’inizio, dovranno per forza di cose adattarsi a lavori manuali che non hanno bisogno di troppa interazione col prossimo. E poiché questo tipo di professioni saranno in breve sature di forza lavoro immigrata, gli americani saranno spinti a cercare professioni più appaganti, con maggiore richiesta di comunicazione, e quindi meglio retribuite. Scrive ancora il Nyt: “Guardando i dati nel periodo tra il 1940 e il 2010, Jennifer Hunt, professore di economia a Rutgers, ha concluso che aumentare di un punto percentuale la quota di immigrati poco qualificati nella popolazione aumenta il tasso di completamento delle scuole superiori degli americani di 0,8 punti percentuali”. Agli schiavi i lavori umili, mentre gli americani possono coltivarsi e formarsi. Sembra di sentirli, i lavoratori statunitensi: “Nella vita volevo fare il lavapiatti, ma lì prendevano solo messicani, allora mi sono dato una mossa e sono diventato direttore di sala in un ristorante stellato”. Sembra assurdo, ma ci credono veramente. 
Adriano Scianca

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