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Il New York Times si auto-censura sul conflitto in Palestina per compiacere Israele

by Michele Iozzino
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Roma, 16 apr – Il New York Times ha dato direttive molto stringenti ai propri giornalisti che si occupano del conflitto in Palestina, tra cui evitare i termini “genocidio” o “pulizia etnica”, limitare il ricorso a espressioni come “territori occupati” o “campi profughi”, e addirittura di non usare la stessa parola Palestina “tranne in casi molto rari”. Indicazioni che appaiono piuttosto sbilanciate verso una narrazione filo-israeliana.

Le linee guide del New Tork Times sul conflitto in Palestina

La nota interna è stata scritta dallo Standards editor Susan Wessling, dall’International editor Philip Pan e dai loro vice. A rivelarne il contenuto è stato il sito investigativo The Intercept che ha ricevuto il documento da fonti interne al New York Times. Per gli autori della guida, questa “offre indicazioni su alcuni termini e altre questioni con cui ci siamo confrontati dall’inizio del conflitto in ottobre”. Un modo per mantenere una certa oggettività e obiettività giornalista nel raccontare la guerra a Gaza, almeno nelle intenzioni di facciata. Al contrario, in molti ritengono si tratti di una forma di auto-censura per aderire maggiormente alla propaganda israeliana. Ad esempio, un redattore rimasto anonimo afferma: “Penso che sia il genere di cose che può sembrare professionale e logica se non si ha conoscenza del contesto storico del conflitto israelo-palestinese, ma se la si ha risulta evidente quanto siano scelte che tendono alla difesa di Israele”. Mentre un altro spiega: “Non è insolito che le aziende giornalistiche stabiliscano linee guida editoriali. Ma ci sono standard applicati unicamente alle violenze perpetrate da Israele. I lettori se ne sono accorti e capisco la loro frustrazione”.

Uno sbilanciamento in favore di Israele

Una prova di questo doppiopesismo del New York Times – oltre ai casi già citati all’inizio – ci sarebbe l’uso contraddittorio di termini come “strage”, “massacro” e “carneficina”. Se da una parte le linee guida ne scoraggiano l’impiego per non alimentare un “linguaggio incendiario”, dall’altra queste parole sono state ripetutamente utilizzate per descrivere gli attacchi contro gli israeliani compiuti dai palestinesi ma mai o quasi nel caso di uccisioni su larga scala di palestinesi perpetrate da Israele.

Michele Iozzino

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