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Dalla provincia all’Europa, le tre meraviglie di Giovanni Sartori

by Marco Battistini
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Roma, 31 mar – Non dev’essere facile per un calciatore sentirsi dire che è arrivato il momento di appendere gli scarpini al chiodo. Tanto più se a esprimere l’indesiderato consiglio è il presidente della società in cui l’atleta milita. Ci aveva però visto lungo Luigi Campedelli, patron del Chievo Verona, quando nell’ormai lontana estate del 1989 suggerì al trentenne Giovanni Sartori – attaccante clivense – di lasciar perdere con il calcio giocato. Non tanto perché il ragazzo scuola Milan fosse così scarso: lo sguardo imprenditoriale del Signor Paluani aveva infatti intravisto ben altre qualità nel Cobra di Lodi.

Dal campo alle tribune

Dopo aver abbandonato il dilettantismo nel 1986, la compagine gialloblù aveva appena conquistato l’accesso al campionato di C1. Proprio con quel successo Giovanni Sartori – già campione d’Italia nel decimo scudetto rossonero – compiva definitivamente il passaggio dal campo alla panchina, nelle vesti di vice allenatore. Il primo tifoso del Céo muore però improvvisamente (1992) e lascia il comando della società al figlio Luca. Il quale, seguendo le orme del padre, promuove subito l’ex avanti nelle vesti di direttore sportivo. Lo avevamo già scritto qualche anno fa: non si può parlare di Chievo senza tirare in ballo il suo uomo mercato. Una favola – termine abusato ma che ben rende l’idea della cavalcata – che porta l’ormai famosa frazione di Verona dai campi sportivi di terza serie all’iconica musichetta della massima competizione europea – 2005, preliminari contro il Levski Sofia.

Il modus operandi è semplice, lineare: si allungano carriere (Marchegiani, Corini, Bierhoff) e si lanciano verdi speranze. Le quali, col tempo, magari salgono sul tetto del mondo: Barzagli, Perrotta, Barone.

Atalanta in versione europea

La necessità di cambiare aria e, al contempo, accettare nuove sfide arriva dopo trent’anni di onorato servizio. «Facevo ormai parte dell’arredamento» dirà in un’intervista. Altro giro, altra meraviglia. Eccolo – il primo agosto 2014 – nuovo responsabile dell’area tecnica atalantina. E da una compagine che non guarda più in là della propria salvezza alla squadra arrivata a pochi minuti dalla semifinale di Champions League 2019/20 – e oggi in pianta stabile nel contesto continentale – il passo è stato breve.

La convivenza forzata con Gasperini dura fino al 2022 (riferendosi al tecnico orobico: «con caratteri diversi, abbiamo lavorato entrambi esclusivamente per il bene dell’Atalanta»). Nel maggio dello stesso anno firma quindi per l’ambizioso Bologna. Piccolo particolare: i petroniani non vedono l’Europa da oltre un ventennio. Il resto è storia recente, con i felsinei vera sorpresa del campionato in corso – attualmente quarti. E, guarda caso, seri candidati per un posto nella coppa dalle grandi orecchie.

Giovanni Sartori, l’uomo mercato dei miracoli

Uomo all’antica, si dice che non abbia nemmeno Whatsapp. Cresciuto lavorativamente senza l’ausilio della tecnologia («prima del Covid, non avevo mai visto un singolo video»), oggi si avvale dell’utilizzo di Wyscout. La fitta rete di collaboratori permette a Giovanni Sartori di incrociare dati ed opinioni. Viene definito “un aziendalista che pretende carta bianca”: la bontà del suo operato è certificata anche dallo scudetto Primavera del Chievo nel 2014 e dai 300 milioni di utili della gestione nerazzurra.

Quanti italiani valorizzati!

Impressiona il numero di giocatori italiani scoperti, voluti o comunque valorizzati negli ultimi anni. Su tutti i cinque azzurri campioni d’Europa 2021 – Bastoni, l’oriundo Toloi, Spinazzola, Pessina, Cristante. E poi Gollini, Mancini, Caldara (un vero peccato si sia perso strada facendo), Calafiori, Cambiaso, Fabbian, Orsolini. Senza dimenticare gli argentini iridati – Romero, Gomez – e l’intuizione di affidare la panchina petroniana a Thiago Motta, emergente italo-brasiliano seguito con attenzione ai tempi dello Spezia. Il Bologna è la terza meraviglia provinciale di Giovanni Sartori. Per parlare (nuovamente) di miracolo attendiamo solo il ritorno in Europa dei felsinei.

Marco Battistini

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