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Reti, beffe ed espedienti: Benito Lorenzi, il centravanti della Decima Mas

by Marco Battistini
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Benito Lorenzi

Roma, 9 mar – “Questa notte splendida darà i colori al nostro stemma: il nero e l’azzurro sullo sfondo d’oro delle stelle”. Benedetta dall’oscurità del cielo meneghino, il 9 marzo 1908 nasceva l’Inter. Fondata da un gruppo di dissidenti del Milan guidati dal futurista Giorgio Muggiani, l’attuale capolista è – per antonomasia – la compagine pazza del pallone italiano. Imprevedibile come una disperata rimonta, irragionevole come un campionato buttato via all’ultimo atto. Caratteristiche che sovente hanno contraddistinto anche i suoi grandi campioni. Tra i primi, eccentrici calciatori del secondo dopoguerra, citazione d’obbligo per Benito Lorenzi, spavaldo centravanti nerazzurro con un passato nella Decima Mas.

Il giovane Veleno

Il nostro nasce in provincia di Pistoia sul finire del 1925 e già da bambino esprime la propria vivacità in un carattere deciso, vispo e pungente. Tanto che la madre arriverà a soprannominarlo Veleno. Ma la tranquillità della provincia toscana deve fare i conti con l’evolversi del secondo conflitto mondiale. Poco più che ragazzo, aderisce quindi alla Repubblica Sociale e si arruola volontario nel corpo militare del comandante Borghese. Con il suo battaglione partecipa, rimanendo ferito, alla battaglia di Tarnova.

Calcisticamente parlando si fa invece conoscere con la maglia dell’Empoli: nella stagione 1946/47 mette a segno una quindicina di reti nel campionato cadetto. Ottimo bottino che permette al giovane attaccante di vestire la già prestigiosa maglia dell’Inter.

Benito Lorenzi, dalla Decima Mas alla Nazionale

In nerazzurro (1947-1958) Veleno continua a segnare, andando in doppia cifra per dieci stagioni consecutive. Se da un lato dribbling secco e propensione all’acrobazia completano il profilo tecnico, dall’altro l’indole lo porta – specialmente nei primi anni di carriera – ad una certa “sintonia” con il cartellino rosso. Interista dentro – per dirla con l’ex presidente Massimo Moratti – firma il sesto e il settimo scudetto della storia interista. Oltre al rocambolesco derby del novembre ‘49, vinto 6-5 dalla Beneamata quando al 19’ il parziale era sul 4-1 per i rossoneri.

Dall’Inter alla Nazionale. Nonostante le oltre centoquaranta reti con i meneghini, Lorenzi veste in poche occasioni la casacca azzurra. Le ultime nella sventurata spedizione mondiale del 1954. Si gioca nella vicina Svizzera e la nostra selezione ha la “sfortuna” di capitare proprio nel girone dei padroni di casa. All’esordio infatti il brasiliano Viana – arbitro dell’incontro – fischierà, per così dire, un po’ troppo a favore degli elvetici. Scatenando a fine gara l’ira fisica dei calciatori italiani. «Qualche calcio glielo sferrai pure io» confesserà Veleno.

Risse, limoni e soprannomi

Manco a dirlo, classe e temperamento fanno innamorare i tifosi dell’Inter. D’altro canto però – come tutte le grandi personalità – Benito Lorenzi, attaccante con un passato nella Decima Mas, sapeva farsi odiare. In particolar modo dagli avversari. Canzonava Boniperti – biondo ed elegante – soprannominandolo Marisa, provocava Charles (senza fortuna, in quanto il gigante buono era gallese) facendo allusioni sulla regina d’Inghilterra. Celebre la volta in cui, dopo un rigore concesso al Diavolo, nascose un limone sotto al pallone già posizionato sul dischetto. Cucchiaroni sparò alle stelle, Benito dovette affrontare la rabbia del tifo milanista. Ancora, rivolto a una giacchetta nera: «ti chiami Merlo? E allora fischia».

A Firenze colpì Nyers, sua spalla d’attacco, per una rete sbagliata. Costringendo oltretutto l’ungherese a rimanere in campo («rientra che i conti li facciamo dopo»). Fervente cattolico, nonostante la generosità dimostrata al di fuori del rettangolo verde, gli rimase l’etichetta di cattivo. Perché, come amava ripetere, «il corpo peccava, lo spirito rimaneva nello spogliatoio».

Marco Battistini

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