Roma, 27 giu – Se, come si sa, le scelte relative alla politica romana sono in realtà scelte di carattere nazionale, la prossima e forse imminente elezione per scegliere il primo cittadino della capitale potrebbe fornire il banco di prova per testare dinamiche politiche nazionali: alleanze, fronti comuni, programmi, direzioni da intraprendere.
Alla luce di tutto ciò, l’eventualità che il centrodestra tutto finisca per convergere sul nome di Alfio Marchini rappresenta semplicemente la fine di ogni velleità non diciamo rivoluzionaria, ma anche semplicemente di rappresentanza nazionalpopolare da parte di Matteo Salvini.
Secondo le indiscrezioni circolate in questi giorni, martedì sera ad Arcore Silvio Berlusconi avrebbe esposto al leader leghista il suo piano per Roma: “Il nostro candidato – gli avrebbe detto – è Alfio Marchini”. Sempre secondo ricostruzioni tutte da confermare, Salvini non avrebbe detto no, in cambio magari di maggiori margini di manovra su Milano.
Ora, il cammino di Matteo Salvini, finora, è stato chiaro, così come chiara è stata la geografia politica dei suoi amici e dei suoi nemici: da una parte i salotti, i poteri forti, la buona società radical chic, dall’altra il popolo, i commercianti strozzati dalla crisi, gli abitanti delle borgate, gli imprenditori che fanno economia reale.
Un recente sondaggio ha mostrato come il Pd peschi la fetta più consistente dei propri voti, quasi il 43%, fra il ceto alto e medio alto (classe da cui proviene solo il 16% degli elettori leghisti). Il Carroccio, viceversa, conquista il 23% dei suffragi fra chi dichiara un reddito basso.
Tutta la comunicazione di Salvini, del resto, è stata orientata in questo senso. Perché questo patrimonio di consenso popolare debba essere sprecato per andare a intrupparsi in un carrozzone guidato dal rampollo di una famiglia di costruttori battezzata “Calce e martello” per i legami del capostipite con il vecchio Pci, al quale regalò Botteghe oscure, non è affatto chiaro.
Per la sua storia, per il suo programma, per il suo linguaggio, persino per il suo senso estetico, Marchini rappresenta l’anti-Salvini. È una scelta salottiera, che tradisce qualsiasi istanza popolare.
Non serve consultare chissà quale stratega della politologia, è tutto molto elementare: o stai con il capitano della nazionale di polo o stai con i cittadini delle borgate.
Marchini rappresenta proprio quel capitalismo rosso, familistico, politicamente correttissimo (e infatti è di pura estrazione resistenziale) che costituisce la colonna vertebrale del politicamente corretto. È un costruttore, ovvero, calandoci nel contesto romano, un “palazzinaro”, ovvero l’appartenente a uno dei due o tre poteri realmente forti nella capitale.
Nel suo progetto rientrano non solo gli alfaniani, vera bestia nera di Salvini, ma addirittura i piddini stessi, in un’accozzaglia inciucista che riproporrebbe su Roma gli stessi meccanismi consociativi all’origine di Mafia capitale.
Insomma, caro Matteo, il bivio è chiaro: da una parte le ruspe per abbattere un sistema marcio, dall’altra le ruspe dei palazzinari. Da una parte il polo del popolo, dall’altra la nazionale di polo.
Adriano Scianca