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Orvieto: "Via CasaPound dalla piazza antifascista". Ma lì c'era l'Accademia delle giovani fasciste

by Adriano Scianca
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Roma, 8 feb – Ci risiamo: un’altra amministrazione comunale, utilizzando argomenti strumentali, cerca di opporsi alla legittima apertura di una sede politica indesiderata. Stavolta siamo a Orvieto, in Umbria, e, tanto per cambiare, la sede della discordia è quella di CasaPound Italia, che sabato inaugurerà un proprio spazio dopo una commemorazione in onore dei martiri delle foibe. Non sarà peraltro l’unico evento cittadino in tema, dato che a Orvieto, con il beneplacito del comune, il dramma istriano verrà ricordato anche con una mostra fotografica e con un convegno sui… crimini fascisti, cosa che è riuscita a indignare persino il moderato e guardingo Corriere della Sera, che ha parlato di “uno sfregio” agli esuli e di una “stupidaggine offensiva”. Una bella figuraccia nazionale.
Ma torniamo a CasaPound. Il sindaco, Giuseppe Germani, ha polemizzato circa la scelta del luogo in cui Cpi aprirà la sede: si tratta della centrale piazza XXIX Marzo. Una data che ricorda i “martiri di Camorena”, sette partigiani uccisi il 29 Marzo 1944. “Stigmatizzo sin da ora il fatto che in modo del tutto inopportuno sia stata scelta la Piazza dedicata ai Sette Martiri come quella in cui ubicare la sede di un movimento politico”, ha detto Germani, affranto. L’argomento dell’intitolazione della piazza sembrerebbe decisivo, quindi. Va bene tutto, ma in un luogo chiaramente intriso di memoria antifascista CasaPound non può aprire. Ma siamo sicuri che chi si richiama a una diversa memoria storica sia così fuori posto, in quella piazza? Mentre l’uccisione dei sette partigiani è avvenuta per l’appunto a Camorena, località ubicata nei dintorni di Orvieto, e non certo in quella piazza, nello stesso luogo è invece impossibile non notare l’imponente struttura della caserma Monte Grappa, dall’architettura inequivocabilmente fascista, con tanto di tre grandi archi che, pare, stessero a richiamare la “M” di Mussolini. Ma non si tratta solo di una delle tante caserme costruite durante il Ventennio ma di un vero fiore all’occhiello per il Regime. Vediamo perché.
Nella caserma in oggetto era infatti ubicata, dal 1932, l’Accademia femminile fascista di educazione fisica, versione femminile dell’Accademia maschile che aveva sede a Roma, al Foro Mussolini, ed era nata nel 1928. Una struttura unica in Italia. La scuola sorgeva all’interno di un ex convento del XIII secolo restaurato a spese del Comune e donato all’Opera Balilla. L’Accademia era un istituto riconosciuto a livello universitario ed aveva il compito di formare le future insegnanti di ginnastica. Le ragazze di tutta Italia, anche a causa delle opportunità lavorative che l’istituto apriva, ambivano in quegli anni a entrare a far parte delle “orvietine”, come sotto il fascismo erano chiamate le allieve dell’Accademia.
Il regolamento spiegava bene il senso dell’istituto: “L’Accademia femminile della Gil di Orvieto ha le seguenti finalità: 1) preparare, attraverso una integrale educazione fascista, le giovani alle funzioni dirigenti, di istruttrici della Gioventù italiana del littorio, e di insegnanti di educazione fisica in ogni ordine e grado di scuola; 2) formare le giovani politicamente e anche professionalmente ai fini della preparazione ginnico-sportiva della Nazione; 3) perfezionare la cultura politica, scientifica e tecnica di tutti coloro che esplicano la loro attività nel campo dell’educazione giovanile femminile; 4) promuovere il progresso delle scienze applicate all’educazione fisica e sportiva femminile; 5) organizzare speciali corsi di educazione fisica e sportiva per le organizzazioni del Regime”.

Il corso durava due anni e dava diritto all’insegnamento nelle scuole pubbliche e private di ogni ordine e grado. Le alunne più meritevoli frequentavano un terzo anno gratuito al termine del quale si accedeva ai ruoli direttivi dell’Opera Nazionale Balilla. Le selezioni erano aperte a tutte le ragazze italiane, nubili, tra i 17 e i 23 anni ed in possesso del diploma di scuola di secondo grado. Esisteva inoltre un Collegio magistrale femminile della Gil che doveva preparare le future allieve dell’Accademia di Orvieto. Le attività iniziavano alle 9 del mattino e prevedevano: 3 ore di esercitazioni ginnico-sportive, doccia, pranzo, un’ora di riposo, 2 ore di lezioni teoriche, merenda. Seguivano lezioni di canto, piano o altri strumenti musicali.
In un articolo sull’Accademia uscito su Lo sport fascista, nel 1939, un giornalista che si celava dietro lo pseudonimo Naele spiegava come, grazie agli insegnamenti dell’istituto, anche la donna potesse “dare alla nazione il suo contributo di intelligenza e di perfetta preparazione tecnica e spirituale”, in quanto, “le forze intellettuali dell’Italia non sono oggi, per fortuna, soltanto un privilegio maschile”. Si capisce bene come il Regime facesse quindi dell’Accademia di Orvieto un pilastro imprescindibile della sua politica volta a integrare attivamente le donne nella comunità nazionale, nonostante le costanti resistenze degli ambienti più bigotti che, con mentalità prefascista, mal sopportavano l’idea che le giovani italiane uscissero di casa, avessero una certa autonomia, fossero mobilitate nelle strutture educative e politiche del Regime o addirittura facessero sport, con tutto quel che di “scandaloso” la cosa comportava.

Dopo l’8 settembre, le accademie di Roma e di Orvieto vennero soppresse e il fascismo continuò le attività ivi svolte nel nord Italia. Nella struttura orvietana troverà in seguito sede la Smef, la Scuola militare di educazione fisica. A partire dalla metà degli anni ’90, la caserma è sede della Scuola della Guardia di Finanza, che ha fatto sì che la struttura continuasse a essere utilizzata, a differenza dell’altra, colossale caserma orvietana, la Piave, dove migliaia di italiani hanno svolto il giuramento sotto le armi, e che ora è lasciata completamente all’abbandono e all’incuria. Un tema di cui forse il sindaco di Orvieto, anziché giocare con la storia e la toponomastica, dovrebbe cominciare a occuparsi seriamente.
Adriano Scianca

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1 commento

Flavio 8 Febbraio 2018 - 5:56

Partigiani chi?Ah i voltagabbana che da neri diventarono rossi quando videro che si stava perdendo la guerra soliti vigliacchi che vanno dove porta l’onda come mai Germania e Giappone combatterono fino alla resa senza però partigiani e traditori vari e oggi vediamo cosa hanno portato i partigiani un regime rosso mascherato da finta democrazia che se la pensi diversamente ti censurano o peggio e che ha messo alla fame milioni di cittadini italiani e favorisce gli stranieri vari che di lavorare non hanno nessuna voglia perché li manteniamo noi.

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