Roma, 31 lug – E così d’estate, alla chetichella, in mezzo alle adolescenziali discussioni sulle unioni civili e la canna libera, arriva l’accelerata per introdurre lo ius soli in Italia. Il che, in piena e sregolata emergenza immigrazione e nel quadro di un disastro demografico senza precedenti, significa dare una bella spallata all’Italia così come la abbiamo conosciuta fino ad oggi.
Ma è lo spirito del tempo, si dice. È la modernità. Non si può fermare la globalizzazione. Il mondo, ci dicono, va in quella direzione, non adeguarsi è essere retrogradi. Balle. Gigantesche, colpevoli balle.
“The Citizenship Laws Dataset”, ricerca condotta da Graziella Bertocchi e Chiara Strozzi nel maggio 2009 sulle leggi in materia condotta sulla legislazione di 162 paesi, ha dimostrato che nel 1948 lo ius sanguinis era adottato da 67 stati, la legislazione mista da 19 e lo ius soli da 76. Nel 1975, lo ius sanguinis coinvolgeva 101 stati, la legislazione mista 11, lo ius soli 50. Nel 2001, invece, lo ius sanguinis riguardava 88 stati, la legislazione mista 35 e lo ius soli 39. Ricapitoliamo: lo ius soli che è così à la page, così di moda, è stato abbandonato in 53 anni da 37 nazioni. Nello stesso periodo, invece, 21 paesi sono passati alla legislazione sulla cittadinanza per discendenza.
E l’Europa? Nel 2001, epoca a cui si ferma la ricerca citata, solo un paese, l’Irlanda, applicava lo ius soli incondizionato, 14 si attenevano allo ius sanguinis e 19 avevano regimi misti con elementi di ius soli piuttosto tenui. Con un referendum del 2004, però, anche l’Irlanda abbandona lo ius soli incondizionato, mentre Portogallo (nel 2006) e Grecia (nel 2010) hanno viceversa ampliato gli elementi di ius soli ma sempre in un contesto misto.
E nel resto del mondo basti pensare all’Australia, già colonia e terra di emigrati, che pure nel 1986 ha ristretto le norme per l’acquisizione della cittadinanza alla nascita, introducendo il requisito per cui un nato sul territorio nazionale deve avere un genitore residente per ottenere la cittadinanza. Il mondo, insomma, non va in direzione del cedimento delle barriere e della deregulation ma piuttosto dalla parte opposta. Più controllo, più rigore.
La presunta ovvietà dello ius soli viene del resto meno se la immaginiamo al contrario: è evidente a tutti che il figlio di un imprenditore italiano trasferitosi in Cina non diventa, per questa contingenza, un cinese. La violenza intrinseca di questa visione sradicante ci sembra assolutamente evidente e lampante se cambiamo prospettiva. Lo “scandalo” culturale dei figli di stranieri che non diventano automaticamente cittadini del paese in cui nascono viene meno se immaginiamo di essere noi gli stranieri. Questo perché dietro le buone intenzioni umanitarie si nasconde come al solito un razzismo strisciante, se è vero che i fan dello ius soli non immaginano regalo migliore da fare agli immigrati che “innalzarli” al nostro livello, come se la concessione della cittadinanza fosse un premio da concedere a chi ha avuto la “sfortuna” di non nascere italiano.
E comunque, in merito, non si potrebbe dir meglio di quanto non fece “l’extracomunitario” Ezra Pound:
«In quanto ai doveri, utilità ed etica dell’allogeno mi pare che la definizione sia semplice. Egli non deve avere suffragio o “voce in capitolo” ma potrebbe facilitare i rapporti fra il suo paese d’origine e il paese dove abita […]. Egli ha un certo diritto d’asilo, quando la patria sua è in tal disordine che non può più abitarla ed ha una certa utilità quando può condividere o aumentare la vita industriale o intellettuale del paese dove abita. Quello che certamente non ha è la licenza di partecipare anche passivamente in azioni subversive nel paese che lo ospita. Non mi pare che cambiamento di nazionalità sia, in senso profondo, lecito. Insomma, non mi pare possibile. Mi pare una funzione legale. Mi pare quasi il gran rifiuto. Cioè il rifiuto di sperare in una rinascita della propria patria, sua patria diciamo “sospesa” […]. L’uomo non può cambiare razza. un cambiamento di nazionalità non va. L’esperimento della “pentola” melting pot negli S.u.A. è in pienissimo fallimento. Tutte le bardature etc. etc. non creano una razza. L’allogeno non deve divenire cittadino, ma potrebbe avere uno status chiaro e pulito, col diritto e possibilità, per esempio, di continuare un lavoro proficuo e onesto». (“Jus italicum”, Il Meridiano di Roma, 24 agosto 1941)
Adriano Scianca
176
2 comments
Ogni movimento identitario deve avere le idee ben chiare sull’argomento, ora non si gioca più.
“Mi pare una funzione legale”: non sarebbe piuttosto “finzione legale”?